il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
Josip Ilicic, l'assenza di un uomo
Nel suo dolce abbandono della nave, con tutta la debolezza del naufrago, si inserisce una questione umana che deve farci riflettere su quel mondo dei calciatori che troppo spesso raccontiamo in maniera superficiale
L’assenza, come una perdita di memoria, un “presenza” costante, in ogni trama o filo che dir si voglia, dell’azione. Un discorso interrotto a metà, come un ponte crollato all’improvviso. La mancanza di Josip Ilicic nella partita dell’Atalanta contro il Paris Saint-Germain si è fatta sentire eccome. C’era, in ogni sequenza della partita, la sua immagine riflessa sul campo, una torre d’argilla basculante. Nessuno ne ha parlato per un nobile ritegno, un vero e sacrosanto rispetto di una persona sensibile che soffre. Ma non ci sono dubbi: è mancato lui per il guizzo vincente, la giocata che avrebbe reso impossibile la rimonta dei francesi.
La vicenda personale del giocatore sloveno ha reso omaggio all’uomo, per quanto questo possa sembrare ingiusto e contraddittorio. Ma così non è. Perché nel suo dolce abbandono della nave, con tutta la debolezza del naufrago, si inserisce una questione umana che deve farci riflettere su quel mondo dei calciatori che troppo spesso raccontiamo in maniera superficiale, abbagliati dalle foto sui social, dai soldi, dai sorrisi dispensati sul campo. Già, il campo, ma fuori dal gioco chi sono i giocatori? Non sappiamo che cosa abbia angustiato Ilicic, quale sia la materia oscura della sua inquietudine, non lo sappiamo e nemmeno vogliamo saperlo, perché non è importante. Ci basta sapere che qualsiasi cosa sia, lo ha condotto a non esserci, a sparire dalla scena nel momento in cui la scena era tutta per lui. Ilicic è uno dei giocatori tecnicamente più forti del mondo, e alla tecnica unisce un fisico strano, alto e magro, con il busto lungo, in grado di assecondare, fino a portarlo quasi all’assoluto, un concetto piuttosto relativo: quello della imprevedibilità. Sembra lento, come la giraffa di un safari di paese, vagamente ammaestrata, eppure quando parte non lo prendi più. E se anche accade, ha un modo di proteggersi con le anche, il busto, le gambe, le braccia, che lo rende inavvicinabile. È come se vivesse una specie di cattività naturale, un recinto, una prigionia. Questo suo essere esclusivo nei modi, nelle fattezze, riflette probabilmente – ma è solo un’ipotesi che aiuta la suggestione niente di più – il suo stato d’animo. Ilicic gioca come se non sapesse nemmeno perché, parte in quarta, sterza, riparte, gira, cerca il mancino con l’ossessione di chi ha quell’unica certezza nella vita: il sinistro. È come se avesse un piede solo, ma quel solo, sembrano cento. Gasperini lo ha soprannominato bonariamente “la nonna”, perché ogni tanto si addormenta. Ma forse c’è dell’altro in quell’affettuoso appellativo, l’aver colto in lui una tendenza a mettersi da parte, per non disturbare, una forma di discrezione tipica degli anziani buoni e rispettosi degli altri. Forse, proprio come capita ai vecchi, serpeggia in Josip una mancanza di ambizione verso il domani, visto che i nonni, il futuro, lo guardano con un certo sospetto. Qualunque sia la conclusione più appropriata, ci resta appiccicata addosso la malinconia di non averlo potuto ammirare nel momento più alto della sua carriera. La sua assenza ha tolto all’Atalanta il giocatore più forte e a noi l’opportunità di divertirci con le sue magie. Quando ritornerà sul campo, ritroveremo non solo un grande calciatore ma un uomo a cui voler bene, sinceramente, ancora di più.