L'atletica ha un problema di scarpe
La World Athletics non ha registrato il record sull'ora in pista del norvegese Sondre Nordstad Moen. Il pasticcio sui millimetri delle suole e quello che non torna sulle nuove regole
“Per un punto Martin perse la cappa”. Ai tavoli delle osterie si sa che l’asso di coppe, che almeno nelle carte trevigiane riporta questa massima, non mente mai. E poco importa se la cappa persa da Martin non era la testa, come si crede, ma un mantello. E quel punto non era di scopa o di briscola. Era un punto vero, scolpito sul architrave del portone principale del monastero di Asello (Toscana). Un punto che stravolgeva il senso del messaggio che l’abate Martino voleva dare: “Porta patens esto. Nulli claudatur honesto” (La porta resti aperta. Non sia chiusa a nessun uomo onesto) divenne “Porta patens esto nulli. Claudatur honesto” (La porta non resti aperta per nessuno. Sia chiusa all’uomo onesto). L’incisione costò al monaco il mantello abaziale.
Il punto di Martino sei secoli dopo si è recentemente trasformato in una manciata di millimetri di suola di scarpa. Quelli che sono costati al norvegese Sondre Nordstad Moen, primo europeo nella storia a completare una maratona in meno di 2 ore e 6’, il record europeo sull’ora di corsa in pista. I suoi 21,131 chilometri sull’anello di Kristinasand (Norvegia) non interromperanno il “regno” dell’olandese Jos Hermens che dura dal 1976. La World Athletics non lo ratificherà per un pasticcio sul regolamento.
Era da fine luglio che gli atleti erano stati informati che la Federazione aveva modificato le norme sulle scarpe. Un regolamento che però prevedeva una deroga al primo dicembre. Sino a quella data le calzature con suole più alte di 25 millimetri potevano essere usate nelle gare che superavano gli ottocento metri (sotto questa distanza l’altezza massima è di 20 mm). Il 3 agosto la comunicazione viene spedita via mail a tutti gli agenti degli atleti. Il giorno seguente la World Athletics cambia idea: le nuove regole entrano in vigore immediatamente.
Il 7 agosto Sondre Nordstad Moen batte il record europeo. Le scarpe sono le solite, quelle con la suola alta 39 millimetri. “Si può mica far cambiare scarpe da un giorno all’altro a un atleta. Una modifica del genere necessita tempo”, dice al Foglio sportivo l’allenatore del norvegese, Renato Canova. E serve tempo soprattutto quando il fisico è fragile. “Sondre ha un problema al tendine d’Achille che gli provoca ripetute infiammazioni, ha subìto due fratture da stress e due interventi chirurgici che lo hanno costretto a un anno di inattività”, racconta la sua manager, Chiara Davini. “Non è il solo a soffrire di problemi fisici, le federazioni lo sanno, per questo solitamente inseriscono una finestra temporale di deroga. Lasso di tempo che è sparito all’improvviso”. Moen ha corso, ha stabilito il record senza cambiare materiale. “E il problema in tutta questa storia non è tanto il record non omologato, è tutto ciò che sta attorno. Il rischio è di finire in mezzo alla gogna mediatica, di passare per furbetto, per un atleta che ricorre a mezzucci pur di migliorarsi”, evidenzia Chiara Davini. “E lui non ha barato”. “Anche perché queste scarpe non migliorano le prestazioni”, sottolinea Canova. Non c’è nessuno motorino nascosto. La suola più alta non nasconde nulla se non un una lamina di carbonio che attutisce l’impatto. “I benefici, almeno per un atleta di livello mondiale come Sondre, li si sentono solo dopo una trentina di chilometri in quanto la calzatura preserva meglio di altre l’integrità muscolare”, spiega l’allenatore. “In pista e su distanze inferiori queste scarpe non migliorano le prestazioni, anzi. Ai mondiali del 2019, sui 21 concorrenti dei 10.000 metri, 20 avevano ai piedi scarpe chiodate. Eppure il modello era già in commercio e ampiamente utilizzato nelle corse su strada. Joshua Cheptegei le scarpe che usa Sondre le ha calzate quando ha stabilito il record dei 15 km su strada, su pista usa invece quelle chiodate. Yomif Kejelcha, il primatista mondiale del miglio indoor, lo stesso. Sono sciocchi? No, sanno benissimo che questo modello non ti fa andare più forte”. Il perché di questo lo spiega la fisica. “Queste scarpe aumentano il tempo di appoggio della sul terreno. Se questo garantisce un minor numero di microtraumi sulle lunghe distanze e un miglioramento minimo dell’ampiezza di falcata, allo stesso tempo determina una diminuzione della frequenza. E se la velocità è data dal rapporto tra frequenza e lunghezza del passo ecco che i benefici si hanno solamente tra i 2,50 e i 2,55 minuti al chilometro. Quando vai più forte queste scarpe ti fanno invece perdere qualcosa. E questo per quanto riguarda l’asfalto. Sulla pista, che ha un materiale meno rigido, il tempo di contatto è ancora maggiore”.
Sarebbe bastato applicare il buon senso e mantenere la deroga affinché questo pasticcio fosse evitato. “E invece non c’è stato. Hanno fatto entrare in vigore un regolamento mal scritto”. Chi si è occupato del regolamento è diviso in tre gruppi di lavoro: il comitato di certificazione e controllo, quello medico-scientifico e quello di sviluppo nuove calzature e produzione. “Il gruppo medico scientifico ha il compito di informare gli altri gruppi di lavoro sulla scienza esistente che riguarda sia la salute degli atleti, sia l’eventuale ruolo della calzatura nel miglioramento delle prestazioni. Poiché ben 4 delle maggiori case (Nike, Adidas, On e New Balance) non hanno al momento in produzione alcuna scarpa non chiodata che rispetti i criteri emanati, questo significa la non conoscenza dell’atletica e delle conseguenze sulla integrità dei tendini degli atleti, obbligati a gareggiare con scarpe chiodate o a non gareggiare del tutto”, conclude Canova.