Una maledetta giacca di renna. Quando Marco Van Basten divenne assenza
Il 17 agosto del 1995 l'attaccante olandese dava l'addio al calcio. L'ultima partita l'aveva giocata oltre due anni prima, eppure in ogni tifoso del Milan viveva la speranza di rivederlo giocare. Almeno sino a quel giorno di venticinque anni fa
A volte i ricordi, siano essi belli o brutti, si materializzano in un oggetto. E quando ce lo troviamo davanti agli occhi, subito nel cervello scatta qualcosa, un'associazione spontanea e totalizzante, a volte addirittura totalitaria, un rimando a quello che non possiamo, e forse non vogliamo, dimenticare. Marcel Proust lo sa bene: è riuscito da una madeleine a scrivere tremila pagine, À la recherche du temps perdu.
Se i ricordi belli sono solitamente fluttuanti, riguardano un periodo sfumato e dilatato, quelli brutti hanno invece una maggior probabilità, almeno secondo le centinaia di studi fatti in questi ultimi trent'anni, di essere collocati in un tempo e in uno spazio precisi. Sul perché questo accada ci sono molte teorie, una letteratura scientifica da perderci i mesi. Lo sport molte volte evade da tutto ciò. È la sua stessa natura eventistica a determinarlo. Siano positivi o negativi, i ricordi sono sempre inseriti in un luogo o in un tempo. E quando ripensiamo a quel luogo e a quel tempo, portiamo a galla pure il contesto nel quale eravamo. O almeno questo vale per gli avvenimenti importanti, per ciò che in un modo o nell'altro non possiamo dimenticare.
C'è però un caso, almeno per una piccola parte delle persone che seguono lo sport, dove spazio, tempo e contesto non esistono. Come fosse un buco nero all'interno del quale appare soltanto un'immagine. Anzi un oggetto. Una giacca di renna.
Il 17 agosto del 1995, è uno di quei giorni che chi tiene al Milan non ricorda, o meglio non vorrebbe ricordare. Perché quel giorno d'agosto di venticinque anni fa, almeno per i milanisti non è mai esistito. San Siro non era pieno, il Trofeo Berlusconi non si è giocato, Fabio Capello non ha pianto. C'era solo quella giacca di renna. Perché quella giacca di renna, quella che copriva in parte una camicia rosa indossata sopra un paio di jeans, quella che sfoggiava quel giorno Marco Van Basten sul prato di San Siro, significava solamente una cosa: la fine di ogni speranza. Marco Van Basten non avrebbe più giocato a pallone.
Un addio al calcio lungo due anni, pieno di ospedali e terapie riabilitative. Un'addio iniziato il 26 maggio del 1993, cinque minuti prima del triplice fischio finale della finale di Champions League contro il Marsiglia. La solita caviglia che si gonfia, il dolore che supera il livello di soglia. La scelta di Capello: all'85 esimo il cambio con Stefano Eranio. L'ultimo pallone toccato dal Cigno è stato due minuti prima, un tentativo di lancio in profondità per lanciare Gianluigi Lentini.
Nessuno poteva immaginare che quella sarebbe stata l'ultima partita di Marco Van Basten. Eppure nonostante il tempo passato in tribuna, nonostante l'assenza dal campo di gioco e dagli allenamenti i tifosi del Milan continuavano a sperarci. E quando a metà luglio del 1995 l'attaccante olandese si era fatto trovare a Milanello con la maglia d'allenamento addosso e gli scarpini ben allacciati in molti avevano pensato che il miracolo si fosse consumato, che la meraviglia sarebbe ritornata in scena.
Perché Marco Van Basten è stato essenzialmente questo per i tifosi rossoneri: una meraviglia. Lo sottolineò Arrigo Sacchi, l'allenatore che per primo lo accolse in Italia, il tecnico che venne allontanato per permettere al Cigno di continuare a giocare in rossonero: “In genere nel calcio si tende a esagerare sempre, a fare molta retorica, io tento di farne un po' meno, però un aggettivo lo devo spendere: Marco Van Basten è stato un giocatore meraviglioso”.
In totale Van Basten vestì la maglia del Milan per 201 volte, in 125 occasioni segnò (90 gol in 147 partite di Serie A). A Milano ci rimase otto anni, più o meno tre e mezzo dei quali senza giocare. Per generazioni di milanisti, almeno per quelle che Schiaffino e Rivera non li hanno mai visti giocare, ma anche tra chi il Pepe e il Gianni li hanno visti giocare, Marco Van Basten è stata la cosa più bella che si è mossa sul campo di San Siro. “Non era un giocatore, era un flusso, musica armonia e immagini. Un'orchestra intera. Come fosse un'entità, una appariscente bellezza”, disse di lui Carmelo Bene.
Una presenza che divenne assenza quel 17 agosto del 1995. Una presenza che divenne una giacca di renna.