Più della politica e le pandemie, il calcio ha l’indiscutibile caratteristica di essere imprevedibile, costringe i sedicenti esperti a sbilanciarsi e smentirsi in continuazione. Ma non produce crisi economiche e morti (non sempre), per cui ci si può abbandonare con leggerezza a previsioni e sentenze tanto definitive quanto volatili. Le coppe europee offrono un banco di prova ideale di tutto ciò: ogni anno giornalisti, ex giocatori, analisti tv e maestri di tattica sui social ci spiegano che il vento è cambiato, che inizia l’èra di Tizio e finisce quella di Caio, che il tale mister è un genio e quell’altro un coglione, che il tiki taka tornerà di moda, che le verticalizzazioni sono il futuro ma che il catenaccio è utile. Prendete un anno fa: quattro inglesi finaliste di Champions ed Europa League, ed era tutto un profluvio di previsioni sul dominio della Premier League sul calcio continentale da qui ai prossimi 5-6 anni almeno. La Bundesliga era un campionato “poco allenante” come la Serie A, non parliamo della Ligue 1. Le inglesi corrono di più, giocano di più, nella narrazione calcistica italiana la Premier League era grande e Paolo Di Canio il suo profeta. Adesso che non c’è nemmeno un’inglese in nessuna finale, e i due Manchester sono stati eliminati come dei fessi da squadre più scarse, il calcio inglese è stato ridimensionato, e tutti sono esperti di allenatori tedeschi, Bundesliga e campionato francese. Non prima ovviamente di essere diventati maestri di preparazione atletica: due mesi passati a dire che Lione e PSG, non giocando da marzo, non avrebbero avuto minuti nelle gambe e ora è tutto un “lo vedi che loro corrono e non bisognava ricominciare a giocare?”.
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