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Il Bayern Monaco è una questione di praticità

Giovanni Battistuzzi

I bavaresi, che in finale di Champions League affronteranno il Paris Saint-Germain, sono figli di un progetto partito con Franz Beckenbauer trent'anni fa. E da allora non sono mai cambiati nonostante Van Gaal, Guardiola e Ancelotti

È una questione di qualità / O una formalità non ricordo più bene, una formalità”. O meglio, a dirla ancora più precisa, è una questione di praticità. Franz Beckenbauer probabilmente “Io sto bene” dei CCCP non l'ha mai ascoltata, con Giovanni Lindo Ferretti non ha mai parlato e probabilmente si sarebbero mal sopportati. Però quando nel 1991 entrò nella dirigenza del Bayern Monaco, in un modo o nell'altro, a questo pensò. Una questione di qualità, una formalità. La missione del club bavarese doveva essere qualcosa che si fa naturalmente, come se fosse prescritta, “come decidere di tagliarsi i capelli / di eliminare il caffè o le sigarette / di farla finita con qualcuno o qualcosa / una formalità, una formalità, una formalità”: vincere. E farlo ovunque, in Germania e in Europa.

  

   

Per uno come il Kaiser però questa questione di qualità coincide con un concetto semplice: il “sehr praktisch”, il “molto pratico”. Ossia l'unica cosa a cui ha creduto in tutta la sua vita calcistica. Perché sia in campo che in panchina Beckenbauer è stata un persona che ha sempre cercato di trasformare in semplice ciò che era complesso.

  

Il suo ritorno ai Roten coincise con l'anno peggiore della storia del Bayern: in Bundesliga finì decimo e venne eliminato ai sedicesimi della Coppa Uefa. La quasi totalità dei tifosi e una gran parte della dirigenza chiedevano una cosa sola: rivoluzione, un taglio netto con il passato. Beckenbauer si limitò a dire: “Le rivoluzioni finiscono quasi sempre con teste mozzate”. Fosse stato un dirigente qualsiasi il suo intervento non sarebbe stato preso in considerazione. Lui però era il Kaiser, il capitano della squadra che per tre volte vinse la Coppa dei Campioni negli anni Settanta, l'allenatore della Germania campione del Mondo, per molti il miglior calciatore tedesco della storia. “Non servono rivoluzioni, serve praticità”, fu la conclusione del suo intervento con il quale elencava le priorità, il suo progetto: sistemazione del vivaio, armonizzazione e integrazione del sistema di passaggio dalle giovanili alla prima squadra, direttive uniformi per gli scout, visione programmatica a quinquenni e soprattutto un diktat: il club deve essere una spugna che assorbe e non rilascia, apprendere da chi guida in panchina e fare in modo che nulla possa cambiare la sostanza della squadra. “Il Bayern non è una casa, è una forma mentis”.

 

Otto Hümmler nel 1991 iniziava il suo quindicesimo anno nel settore giovanile dei Roten. A calcio ci giocò male in gioventù, ma il calcio lo conosceva. “Al Bayern ho lavorato per oltre un trentennio e la squadra che giocherà la finale di Champions League è quella che ha fatto Franz. E così lo erano quelle che vinsero la Champions nel 2001 e nel 2013. Nulla è cambiato in questi trent'anni. Perché nulla cambia al Bayern. Ogni rivoluzione fallisce perché la rivoluzione più importante è stata fatta da Franz quando è entrato in società. Solo che nessuno se ne è accorto. Eppure è successo che da allora tutto sia stato impostato su di una regola semplice, una traccia da seguire: tutto deve essere pratico, essenziale. La prima cosa che mi disse era di tenere tutto com'era nel settore giovanile, ma che da quel momento in poi quello che si doveva insegnare ai ragazzi che un passaggio meno rischioso è meglio di uno che ha più possibilità di essere intercettato. Ricordo ancora che mi disse: ‘Il calcio è un gioco di risparmio, se punti sulla praticità delle cose, risparmi risorse che ti permetteranno di affrontare meglio i momenti difficili’. Momenti difficili ci sono stati, ma nessuno ha messo in crisi o in discussione questo modo di fare”.

 

Alfa e omega di questa identità sono Bastian Schweinsteiger e Thomas Müller, ossia la guida del Bayern degli ultimi vent'anni. “Basti è il prototipo dell'idea di Franz. È la declinazione del praktisch nel calcio. Disciplinato tatticamente, visione del gioco da trequartista, senso della posizione da difensore. Non ti accorgevi di lui. Poi guardavi i numeri a fine gara e ti rendevi conto che era quello che aveva toccato più palloni, che ne aveva recuperati di più e persi di meno. E ogni gol fatto era tra i giocatori che avevano toccato il pallone nei precedenti cinque scambi”, sottolinea Hümmler. Müller è l'opposto di Schweinsteiger. “È anarchico, incapace di rispettare le regole. Se non la sua. E la sua è quella di Franz: praticità. Il suo calcio è un calcio libero e incasinato. Eppure una legge la rispetta: mi devo fare trovare e una volta che sono stato trovato devo segnare o trovare qualcuno. E tutto nel modo più semplice possibile”, dice Hümmler.

 

Uomini che arrivano, a che età non conta, e si trasformano lasciando inalterato il contesto. “Negli ultimi trent'anni sono cambiati tanti volti ma mai l'identità del club. Se il Barcellona è ‘Más que un club’ il Bayern lo è altrettanto. Ma per motivi diversi. Non è un'unione identitaria, è una linea guida”, sintetizza Hümmler.

 

Sulla panchina della squadra bavarese in questi anni si sono seduti tra i migliori tecnici al mondo, da Trapattoni a Guardiola, da Van Gaal ad Ancelotti. Nessuno di loro è riuscito, o forse ha voluto e preteso, modificare questa linea guida. “Le loro squadre giocavano una diversa dall'altra, eppure nella sostanza vinceva sempre l'idea che ciò che era più pratico era migliore”. Il Bayern ha assorbito le loro lezioni, i loro metodi, ha cambiato piccole cose. Un processo di stratificazione che non si è mai interrotto bruscamente. Quando Guardiola arrivò in Baviera, era il 2013, chiese importanti investimenti di mercato. Uli Hoeneß, allora presidente dei Roten e rispettoso continuatore della politica di Beckenbauer, gli rispose che avrebbero preso in considerazione le sue richieste, ma che si scordasse di creare Guardiolandia all'Allianz Arena. Nei tre anni di Pep in Germania il Bayern vinse tre Bundesliga e per tre volte fu semifinalista in Champions. In queste tre stagioni la dirigenza investì nel mercato 193 milioni di euro, meno di quanto costò Neymar al Paris Saint-Germain. Molti degli acquisti di allora – da Thiago a Kimmich, da Lewandovski a Coman – sono nella rosa attuale. “Perché l'allenatore vale il giusto. L'allenatore deve allenare, al mercato ci pensa chi ci deve pensare. Al Bayern funziona così, lo impose Franz. Il tecnico chiede, la dirigenza valuta e sceglie chi può essere il miglior innesto da inserire nel tronco. E come ogni innesto necessita di tempo. Il tempo qui non conta, contano i frutti”, conclude Hümmler.

 

La squadra che giocherà la finale di Champions League contro il Paris Saint-Germain è l'esemplificazione di questo. Ci sono giocatori cresciuti nelle giovanili, altri arrivati con Guardiola o con Ancelotti. Gli acquisti dell'ultima sessione di mercato (da Lucas Hernández a Coutinho, passando per Pavard e Perišić) sono in panchina, a volte entrano, qualcuno si è già inserito e giocherà da titolare. Verranno buoni solo quando avranno capito che in Baviera è il solco già tracciato la via da seguire, quando saranno abbastanza praktisch da essere utili.

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