Non è un gran momento in America, per usare un eufemismo. Mentre le strade di notte s’infiammano di proteste a macchia di leopardo, le micce continuano a brillare con cadenzati episodi di violenza tra polizie e afroamericani e la convention repubblicana ha esposto con chiarezza che “Legge e ordine” – ovvero paura & repressione e soprattutto “divisione” – sono gli imperativi e gli slogan di una campagna di cui s’intuisce un insperato recupero, l’affare, semplicemente, s’ingrossa. Scendono in campo i campioni sportivi, i miliardari professionisti, in larghissima maggioranza neri, che sono il culto, il passatempo, l’oggetto del desiderio e della passione della maggioranza degli americani. Ha cominciato l’Nba, poi si sono unite le sorelle della WNba, la lega “pro” femminile e ora arrivano a ingrossare la protesta gli atleti del baseball, lo sport più tradizionale e tradizionalista, prediletto dalla base conservatrice del paese, e del soccer, la disciplina degli immigrati. Si muovono gli atleti e sussultano le franchigie, ovvero i club, e poi addirittura le leghe.
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