Vincere in tandem

Era disciplina olimpica. L’oro italiano a Roma 1960. Il ricordo di Bianchetto e Beghetto

Marco Pastonesi

Venerdì 26 agosto, prima giornata dei Giochi olimpici di Roma 1960. Velodromo dell’Eur. Primo turno, ottavi di finale, Italia-Ungheria: vittoria per rinuncia degli ungheresi. Secondo turno, quarti di finale, Italia-Stati Uniti: vittoria 2-0, la prima volata in 10”2, la seconda in 10”5, i due migliori tempi assoluti negli ultimi 200 metri. Sabato 27 agosto. Semifinali, Italia-Olanda: vittoria 2-0, tempi 10”5 e 10”8. Finale, Italia-Germania Ovest. “I tedeschi, fin lì imbattuti, cinque volate e cinque vittorie, sempre partendo in testa. Semplice: avremmo dovuto fare la stessa cosa”. Fu così: vittoria 2-0, la prima volata in 10”7, la seconda in 10”3. Le tribune esplosero: campioni olimpici nel tandem. Sergio Bianchetto aveva già compiuto 21 anni, Giuseppe Angiolino (in un solo soprannome: Bepo) Beghetto non ancora. Bianchetto padovano quasi di città (Torre di Ponte di Brenta), Beghetto padovano di campagna (Tombolo). Bianchetto carpentiere, Beghetto vaccaro. Bianchetto si alzava alle cinque di mattina per farsi 80 km prima di cominciare a lavorare con il padre, Beghetto si adattava ai tempi delle mungiture. Bianchetto e Beghetto si rivelarono sul cemento del velodromo Monti, a Padova.

  

Il ministro della pista era Severino Rigoni, vecchio pistard tutto d’un pezzo. La bici? “Cerca fra queste, una buona la troverai”. L’appuntamento? “Alle 8, e alle 8 chi c’è c’è, chi non c’è rimane a piedi, cioè a casa”. Lo spirito di squadra? Un giorno, su 12 corridori in fuga cinque erano della Padovani eppure riuscirono a perdere la corsa perché tutti e cinque volevano vincere e non aiutare, così Severino prese le loro borse, le lasciò a terra e se ne andò, e i cinque se la dovettero fare in bici, da Mirano a Padova, non era tanto, ma abbastanza perché la volta dopo scoprissero lo spirito di squadra. I vizietti? Il giorno in cui i ragazzi si lamentarono perché “gli altri hanno la Coca-Cola e noi solo l’acqua”, la corsa dopo Severino gli fece trovare solo Coca-Cola, e quando i corridori, con lo stomaco incartapecorito e l’intestino raggrinzito dalla Coca-Cola, reclamarono di volere l’acqua, rispose “così imparate”, e poté ritornare consensualmente e trionfalmente all’antica. Severino che a quelli che non andavano diceva “hai la fortuna di essere alto, prendi un pennello e…”, facendogli il gesto dell’imbianchino. Severino che a quelli che non andavano diceva “non sei molto alto, ma hai la fortuna di poter salire su una scala, prendi un pennello e–”, facendogli sempre il gesto dell’imbianchino.

    

Ma Bianchetto e Beghetto erano corridori veri, non presunti imbianchini. Bianchetto scaltro, fantasioso, acrobatico, dunque stratega, e Beghetto forte, tosto, potente, dunque bolide. Bianchetto, davanti, che sceglieva tattica, traiettorie, trucchi, e Beghetto, dietro, che spingeva, mulinava, stantuffava. Bianchetto era fosforo, Beghetto watt. “Bianchetto era un grande autista”, dice Beghetto. “Beghetto era un grande motore”, dice Bianchetto. “Eravamo la coppia più bella del mondo”, dicono insieme. Anche la più allegra. Bianchetto: “Una volta andai da Beghetto per fare una gara insieme”. Beghetto: “Prendemmo la mia Lancia, avremmo fatto prima”. Bianchetto: “Gli chiesi dove saremmo arrivati con la benzina”. Beghetto: “Gli risposi di stare tranquillo, ché saremmo arrivati fino al Brennero”. Bianchetto: “Invece rimanemmo a secco”. Beghetto: “Forse ci andai pesante e consumammo più del previsto”. Bianchetto: “Così dovetti andare a fare rifornimento, io, a piedi, con un fiasco”. Beghetto: “Che cosa ti saresti inventato se il fiasco non lo avessimo avuto?”.

   

“Bianchettobeghetto” divenne uno scioglilingua, l’attacco di una filastrocca o l’epilogo di una preghiera, due figurine Panini (anzi, una divisa in due) o forse un animale mitologico a otto zampe e due ruote. Attenti a quei due che, su un tandem – il tandem sta alla bici come un impianto stereo sta a quello mono: arte sintonizzata, mestiere sincronizzato, filosofia sintetizzata – erano un tutt’uno: non duello e dualismo, ma alleanza, complicità, addizione, magari moltiplicazione, nonché amicizia eterna. E con il doppio oro, “Bianchettobeghetto” ricevettero anche due Fiat 500, il premio riservato agli olimpionici. Quei Giochi sublimarono il ciclismo azzurro: cinque ori, un argento e un bronzo su sei competizioni.

    
Dopo Roma, “Bianchettobeghetto” tornarono Bianchetto e Beghetto. Beghetto passò tra i professionisti nel 1963, continuò a vincere su pista (tre volte Mondiale nella velocità) e cominciò a farlo anche su strada. Bianchetto rimase dilettante fino al 1964 (due ori, un argento e un bronzo mondiali nella velocità), in tempo per vincere un altro oro olimpico a Tokyo nel tandem (con il napoletano Angelo Damiano) e un argento nella velocità (battuto da un milanese, Vanni Pettenella), poi diventò anche lui professionista. Adesso, quasi all’improvviso, i due si accorgono che sono trascorsi 60 anni. “Ma la vita – si domandano “Bianchettobeghetto” – passa così veloce anche per chi non è mai stato un velocista?”.

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