il racconto della 13esima tappa
I negazionisti dei rulli al Tour de France: Martínez e Kämna
Il colombiano della EF vince sul Puy Mary davanti al tedesco della Bora. Avessero parlato di più in fuga si sarebbero trovati d'accordo su molti e molti argomenti
Avessero chiacchierato un po' salendo verso la cima del Puy Mary, 13esima tappa del Tour de France, Daniel Felipe Martínez e Lennard Kämna si sarebbero trovati d'accordo su molte cose. Innanzitutto sui rulli. Perché per entrambi pedalare senza muoversi è stata una specie di tortura, qualcosa a cui sfuggire disperatamente. Il tedesco avrebbe detto al colombiano che "guardi fuori dalla finestra, vedi il sole, eppure stai pedalando nel tuo salotto, i corridori gli vedi sullo schermo. No. Non è ciclismo". Gli avrebbe poi spiegato che "Non stai veramente pedalando in gruppo. È più come se stessi gareggiando contro te stesso, anche se alla tua destra e alla tua sinistra appaiono delle biciclette. Ma non c'è scia e tutta la strategia è sparita. Vai semplicemente al massimo. In una gara normale contano altri fattori: dove ti posizioni, la capacità di avere la visione d'insieme, di sapere quando devi mollare per risparmiare energie". E poi "il vento, l'odore di ciò che ti sta attorno. Sui rulli senti solo puzza di sudore".
Avrebbe annuito Martínez, gli avrebbe risposto che era d'accordo con lui, che "la bici non è qualcosa che può essere rintanata in una stanza", perché meglio stare fermi – "lo sono stato per quindici giorni prima che mi arrivassero i rulli" – che muoversi tra divano e cucina: "Avevo appena installato Zwift e tutte le altre piattaforme e volevo già uscirne". Si può mica "fare la fine dei criceti".
Da soli davanti agli avanguardisti del mattino, superato pure Maximilian Schachmann che aveva provato il colpo grosso, e a distanza di sicurezza dal gruppo di quelli che ancora si ostinano a scattarsi in faccia pur di vincere il Tour, Daniel Felipe e Lennard si sarebbero anche trovati d'accordo su altro: sulla concezione del tempo, sia esso percepito o sportivo. Perché il lockdown a entrambi ha "allungato le giornate e pure le distanze, c'è voluto tempo a rimettersi in sesto, a ricalibrare", ha detto Martínez. Perché "mi sono ritrovato per la prima volta a chiedermi come riempire i giorni. Non mi era mai successo", ha fatto eco Kämna.
Eppure il tempo non è cambiato, "l'abbiamo sempre dovuto ricostruire". E per il colombiano non è la prima volta, ché lui, che andava meno forte di altri in salita, col tempo "ho dovuto farci i conti, sistemarmi in sella, pedalare di ritmo che così almeno avrei ripreso a cronometro quello che perdevo in montagna".
Mica come il tedesco che contro il cronometro, "mai avuto un problema, come fosse naturale. Mi trovo bene a prendere una cadenza e a portarla avanti immutata". Beato lui. "Negli anni ho alleggerito la pedalata, buttato giù un po' di chili". E ha stretto i denti, ché la salita è "una questione di tener botta e non tirarsi mai il collo quando non serve".
Nessuna parola invece è uscita. La strada saliva e il fiato si accorciava. Daniel Felipe Martínez e Lennard Kämna si sono dati qualche sguardo. E qualche sberla a pedali: il colombiano ha tirato, il tedesco ha provato l'allungo due volte, l'ultimo a un centinaio di metri dall'arrivo. Gli è andata male. Martínez si è fatto sorprendere, poi si è alzato sui pedali, ha accelerato, ha vinto.
La Colombia festeggia il corridore dell'EF e si cruccia per Egan Bernal. Il vincitore della scorsa Grande Boucle oggi ha pagato dazio dalla coppia slovena: 38 secondi che sono un ceffone che fa girare la testa. Perché i chilometri duri erano due, perché la gamba girava dura, perché pure Richie Porte, Mikel Landa e Miguel Angel Lopez gli sono finiti davanti.