il foglio sportivo
Il calcio soldi e cervello di Boniek
Dalla Polonia alla Serie A, dalla Juventus alla Roma. Intervista al presidente della Federcalcio polacca
Lo sguardo è lo stesso: arguto e a tratti sfuggente. Solo qualche ruga ad ammorbidirne i tratti, meno spigolosi forse, sempre in perfetta armonia con i suoi baffi. Anche quelli sono rimasti identici, solo leggermente sfumati dagli anni, ma ancora perfetti, curati, a far intravedere appena il labbro superiore. Un riempitivo caratterizzante, perché non è poi sbagliato dire che un uomo è in fondo i baffi che porta. Non è solo estetica, è qualcosa di più, una scelta se non di vita, quantomeno d’identità. Perché il baffo è un’ammissione. “Sfoggiarli non è necessario, scegliere il proprio è una scelta di campo, un avamposto sul mondo”, scrisse Friedrich Dürrenmatt.
Zbigniew Boniek i suoi li ha scelti decenni fa. Il suo avamposto sul mondo è sempre stato lo stesso. Anche lui non è poi cambiato. Ha aggiunto esperienza, ha cambiato mestiere, un tempo calciatore, ora presidente della Federcalcio polacca, ma, come segnalava Gianni Mura all’alba del suo primo incarico presidenziale, era il 2012, “Zibi ha idee e capacità. È un uomo di calcio e quando lo si sente parlare si rivede il calciatore che è stato: veloce, verticale, intelligente. Un uomo che sa cosa vuole e cosa fare per ottenerlo”.
“Sono stato un giocatore che poteva giocare in qualsiasi posizione, mi hanno definito un giocatore universale. Una descrizione che rispecchia la mia idea di calcio”, dice al Foglio Zbigniew Boniek. “Sono cresciuto in uno sport meno inscatolato in definizioni, che mi ha insegnato che il campo è uno e serve adattarsi alle esigenze della squadra”. Lui lo ha fatto: “Ero un centrocampista che giocava in attacco. Se c’era da segnare lo facevo. All’occorrenza però potevo fare anche il centrale difensivo. Sceglieva l’allenatore. Era giusto così”.
Sei stagioni in Italia da giocatore. Tre alla Juventus, altrettante alla Roma. Sei anni nei quali ha vinto tutto ciò che c’era da vincere, soprattutto alla Juventus. Perché a Torino vincere è più facile. “La Juventus, con il Bayern Monaco, era ed è la squadra meglio organizzata al mondo. Ha una proprietà solida, ha possibilità economiche, soprattutto un’organizzazione perfetta. Tutti sanno quello che devono fare e lo fanno al meglio perché inseriti in una struttura dove nulla è improvvisato”. Era così ai tempi dell’Avvocato Agnelli, lo è ancora. “In Italia la Juve sta vincendo da anni. In Europa è sempre tra le migliori. Oggi per vincere un club deve sobbarcarsi costi quasi insostenibili. Il calcio ti dà spesso l’impressione che il più debole possa vincere contro il più forte, ogni tanto accade perché è uno sport nel quale la casualità ha il suo peso, ma a lungo andare non è così: vincono i più ricchi. Servono investimenti continui per alzare le coppe. Quanto costa un punto in un campionato? E quanto in una coppa europea? Se si vuole costruire una squadra vincente questo calcolo va fatto”, sottolinea Boniek.
La Serie A che inizia oggi vedrà Andrea Pirlo alla guida dei bianconeri. Ma quello che sembra un azzardo in realtà non lo è. “Pirlo è giovane, è alla prima panchina, ma l’esperienza conta fino a un certo punto. Servono talento e idee chiare. E in una società come la Juventus, dove tutti si mettono a disposizione, è più facile dimostrare le proprie capacità. Lui è preparato, l’esperienza se l’è fatta sul campo. Lì ha dimostrato di avere carisma, personalità, sensibilità e intelligenza, qualità che non svaniscono. Non vedo il rischio di un fallimento”. I bianconeri scegliendo Pirlo non hanno fatto un salto nel vuoto, “si sono affidati semplicemente a una persona che ha ottime competenze”, spiega Boniek. Che aggiunge: “La squadra ha un organico eccezionale. Questo basta per avere una certezza: saranno grandi protagonisti. Possono vincere in Italia e, glielo auguro, anche in Champions League. Nel calcio ci vuole denaro e cervello: la Juve li possiede entrambi”.
L’altra metà dell’Italia di Zibi è stata Roma. Erano gli anni di Dino Viola, di “una squadra forte, peccato essere arrivato dopo lo Scudetto”. I giallorossi sono entrati in una nuova èra, quella della presidenza Friedkin. “Ancora è presto per esprimere un giudizio. Lo è per me, lo deve essere per i tifosi. Di lui dicono che è ricco, intelligente, che ha senso degli affari e capacità di far fruttare ciò su cui investe. La Roma ha un brand straordinario, saperlo far fruttare vuol dire tornare a essere tra i primi quattro club in Italia. Perché i giallorossi hanno il dovere di essere protagonisti, di lottare per vincere. Roma però è una città ondivaga, si lascia trascinare un po’ troppo da stati d’animo transitori. Quando era arrivato Pallotta i tifosi immaginavano un futuro di vittorie. Abbiamo visto com’è andata. Ora serve avere pazienza, avere una visione del futuro”.
Pazienza e visione del futuro Boniek l’ha avuta alla guida della Federcalcio polacca. Il 26 ottobre 2012 vinse le elezioni per la presidenza, all’indomani dell’Europeo organizzato assieme all’Ucraina. Allora la Polonia era periferia del calcio europeo. Dal 2006 non disputava un Mondiale, dal 2008 non superava la fase a gironi nella competizione continentale. Nel 2018 ritornò al Campionato del mondo, quattro anni fa arrivò ai quarti all’Europeo. Ora ha soprattutto un futuro fatto di giovani di talento. In questi anni “abbiamo fatto quadrare il bilancio e abbiamo incrementato le risorse. Tutto ciò ci ha permesso di mettere mano all’organizzazione della Federazione, di creare una base solida per guardare al futuro”. Perché il settore giovanile federale non è mai stato così in salute. “Abbiamo iniziato a organizzare ogni anno quattro stage di due settimane per i migliori cinquanta ragazzi dall’under 10 all’under 15. Abbiamo stabilito che ogni squadra nei campionati debba far giocare almeno un giovane polacco e incentivato il rapido passaggio dai settori giovanili alle prime squadre: i giovani devono essere inseriti il prima possibile nei campionati professionistici, solo così possono diventare grandi giocatori”. Un lavoro che avrebbe dato i suoi frutti già all’Europeo 2020, quello che la pandemia ha fatto slittare alla prossima estate. “Non vedrò i risultati, il mio mandato finirà a breve. Poco male. L’importante è essere certi di aver lavorato bene. Nel calcio c’è bisogno di serietà, non è più possibile improvvisare”, conclude Boniek, che anche per queste caratteristiche ha ricevuto a Castiglion fiorentino il Premio Fair Play Menarini, sezione “Sport e vita” lo scorso 10 settembre.