il foglio sportivo
C'era una volta la piscina di Palombella rossa
"A un certo punto, dietro la curva, lontano sul porto, abbiamo visto la piscina. Be’, in quel momento, io sono stato felice”. In memoria dell’impianto “Mario Massa” di Nervi
“Mi ricordo, un giorno, ero bambino, avevo pochi anni e mi avevano portato con la squadra dei grandi, con queste borse a tracolla, sulla passeggiata di Nervi. A un certo punto, dietro la curva, lontano sul porto, abbiamo visto la piscina. Be’, in quel momento, io sono stato felice”.
Minuto 32, secondo 37, dal film “Palombella rossa” (1989). Nanni Moretti, attore e regista, si sdoppia: il ricordo di Michele Apicella, dirigente del Partito comunista italiano, nostalgico, appassionato, grato, qui più romantico e sentimentale che materialista e idealista, e il vissuto di Michele Apicella, il ragazzino costretto dai genitori a giocare a pallanuoto e dall’allenatore a caricarsi due borsoni dei compagni per assaporare il clima della prima squadra. Ma oggi quella piscina, capace di regalare la felicità, non esiste più. Abbattuta, distrutta, cancellata.
Ideata già alla fine degli anni Cinquanta (sotto la presidenza di Cesare Ravazzoni, pneumologo, con il Nervi dal 1957 finalmente in serie A), progettata all’inizio degli anni Sessanta (sotto la presidenza di Luigi Durand de la Penne, ammiraglio ed eroe di guerra, la Seconda guerra mondiale, quando affondò la nave inglese Valiant a bordo di un sommergibile-maiale nel porto di Alessandria d’Egitto, ma prima mettendo in salvo l’equipaggio inglese), inaugurata nel 1964 (non a caso la stagione in cui il Nervi risorse dalla B alla A), la piscina del porticciolo venne dedicata al nerviese Mario Massa, che partecipò alle Olimpiadi di nuoto nel 1908, 1912 e 1920 (e nel 1912 si laureò campione italiano in mare, fiume e lago, in tutto 430 titoli italiani, il primo a 14 anni, gli ultimi due – nei 100 e nei 400 - a 29).
“Il campionato si disputava d’estate e il Nervi, come tutte le squadre, giocava in mare – ricorda Renato Gandolfi, gloria locale, oggi proprietario del ristorante Halloween proprio nel porticciolo –. Il campo era tracciato con galleggianti, boe e porte sotto il molo, vicino alla spiaggetta. I giocatori si cambiavano dove adesso c’è un bar, poi a piedi raggiungevano l’acqua e si tuffavano. A noi, bambini, apparivano imponenti e spaventosi come dei. Dante Rossi, portierone del Settebello olimpionico a Roma 1960, sembrava gigantesco: lui era Giove, il padre degli dei e di Olimpia. Nico Lippolis e Franco Tentori erano belli come Apollo. E Fenisio Bragheri, il capitano, enorme nelle dimensioni e fabbro nel gioco, era Nettuno, il dio del mare”. “L’arbitro – precisa Lippolis – camminava sul molo, in basso, il pubblico lo sovrastava, dall’alto. La pressione popolare era forte, la sudditanza arbitrale non era solo psicologica. Tant’è che in casa rarissimamente si perdeva. Ma dovunque era così: anche a Recco e a Camogli. E se il mare era mosso, meglio: con le onde le porte si alzavano, era come se si allargassero e si allungassero, e così, se si tirava nel momento giusto, i portieri non avevano scampo”.
La nuova piscina nacque per la pallanuoto, attaccata al molo. Gandolfi: “Aveva tre fori laterali perché si alimentasse di acqua di mare, ma così crescevano alghe e ‘muscoli’, le cozze, e ogni tanto si insabbiava. Più tardi, per adeguarsi alle regole, si passò all’acqua dolce”. “Si viveva per la pallanuoto – sospira Enzo Barlocco, concepito sbocciato cresciuto educato imposto intorno e dentro quella vasca, poi scudettato con la Pro Recco e 80 partite in Nazionale -. Era la nostra palestra, la nostra scuola, e poi università, il nostro piacere e divertimento e allegria, la nostra guerra, insomma, era la nostra vita”. Sarebbe diventata anche una fonte di ispirazione, come per Giovanni Barlocco, il terzo dei fratelli (qui le dinastie si consolidano), che ha ambientato il suo romanzo giallo “Di solito i pesci non muoiono annegati” proprio a Nervi, intorno alla piscina, a cominciare da quella delimitata dai sugheri: “Le persone che assistevano alle partite, di solito, erano abbastanza competenti, ma capitava che difettassero un po’ in delicatezza”, “A volte, a fine partita, la barchetta dell’arbitro spariva dietro una lingua di terra, in cerca di porti più tranquilli, non di rado inseguita da una processione marinara laica e rumorosa, che recitava giaculatorie eterodosse”, “I palloni erano di cuoio. Se erano nuovi e ingrassati, per impermeabilizzarli, scivolavano come saponette, se erano vecchi s’impregnavano d’acqua, pesavano una tonnellata e rompevano le dita dei portieri”.
Tra poemi epici e letteratura nautica, la pallanuoto nerviese possedeva una grammatica particolare: “Bell’atleta, bella credensa” alludendo all’ampiezza toracica e “O l’à di bighi che pan raggi de bicicletta”, dove i bighi sono i bicipiti. E vantava un’anedottica inesauribile: espulso per l’ennesimo fallo, il rude Bragheri si difese spiegando all’arbitro “o se ghe caccia e mi ghò-u tegno”, si butta sott’acqua (simulando) e io ce lo tengo (giustamente), fin quasi a farlo annegare. E le acrobazie degli stranieri, a cominciare dall’ungherese Imre Budavari, immarcabile avversario di Moretti in “Palombella rossa”. “Marca Budavari, marca Budavari, marca Budavari!”, “Fisso su Budavari, fisso su Budavari, fisso su Budavari!”, “Guarda Budavari, guarda Budavari, guarda Budavari!”, ripeteva disperato e impotente Silvio Orlando, allenatore della cinematografica Rari Nantes Monteverde.
“Non doveva finire così – si lamenta Matteo Ciappina, ex giocatore del Nervi, anima di un comitato che per anni ha cercato con tutte le sue forze, ma invano, di salvare la piscina da abbandono, degrado ed eliminazione (11mila firme, fra cui quella di Nanni Moretti) -. Ora s’ipotizza una piscina a Campostano, nel centro di Nervi. Non è il luogo giusto: anche Legambiente e Italia Nostra sono insorte”.
E la felicità morettiana? Quella può attendere.