Nel nome della Rosa
La maglia rosa smarrita. Parla Dino Zandegù
“Quando ero in giornata, vincevo agevolmente, anche a mani alzate, peccato che di quelle giornate ne abbia avute poche".
Il 20 maggio 1971. Un giovedì. Cronoprologo a cronostaffetta del Giro d’Italia, la Lecce-Brindisi di 62 km in 10 frazioni da 6,2 km. Pronti? Via.
“Pronti? Via. Ciascuna frazione a cronometro, poi ci si dava il cambio. La mia frazione era la sesta. Partii a tutta, continuai a tutta, arrivai a tutta, il più veloce di tutti. E lanciai il mio compagno Attilio Benfatto così a tutta che, grazie solo all’energia di quel cambio volante, anche lui vinse la sua frazione. Risultato finale: primi, noi della Salvarani, con 3” di vantaggio sulla Molteni, 34” sulla Scic, 42” sulla Ferretti e 1’39” sulla Filotex. E la maglia rosa per tutti e dieci i componenti della squadra. Ci fotografarono sul podio, tra miss e fiori, poi ci portarono su una scala, in alto Felice Gimondi, il nostro capitano, e subito sotto io. Ci portammo la maglia rosa in albergo, in camera e sono stato lì lì dal portarmela anche a letto, ma siccome ci avevano detto che almeno durante il Giro non dovevamo dormire con nessuna, lasciai la maglia rosa su una poltrona. La mattina seguente, come tutti i miei compagni, la indossai. Mi sentivo importante, perfino bello, insomma un altro. E alla firma del foglio di partenza, non sapendo chi fossi e come mi chiamassi, misi una X”.
L’unica maglia rosa della vita per Dino Zandegù, un corridore come non ce ne sono più, storie che vengono da lontano, padovano di Rubano, pistard e poi stradista, passista e velocista, disponibile a qualsiasi intervista. “Grazie per avermi chiamato, ci tenevo molto a farlo sapere, quella maglia rosa è stata sottovalutata e perfino dimenticata. Ma non mi chieda dove sia finita. Un po’ per il mio disordine domestico e forse un po’ anche per il mio disordine mentale, a un certo punto è sparita. Magari perduta in un trasloco, magari nascosta in qualche scatolone, magari regalata a qualche appassionato. Quanto alla sparizione delle mie coppe, lì invece c’è una colpevole: mia moglia Lalla. Ne tenevo 500, di quelle coppe, belle e meno belle fino a quelle da buttare, invadendo gli scaffali di tutta la casa. Un giorno Lalla, per non poterle più vedere, le caricò su un camion e... Quando tornai a casa, davanti al fatto compiuto, stavo quasi per arrabbiarmi, poi feci finta di nulla, però, se le interessa, posso chiedere che fine abbiano fatto”.
La maglia rosa di Zandegù durò un solo giorno: “Ma se fosse scoppiata una pandemia, avrebbero interrotto la corsa e così avrei vinto un Giro d’Italia, come Adorni e più di Bitossi. Peccato”. La prima tappa fu vinta – addirittura – da Marino Basso: “Non ricordo, forse avevo dimenticato o forse rimosso, comunque mi dà un dispiacere. Basso era svelto, scaltro e vicentino. Faceva il galletto, fa ancora il sostenuto, senza ritegno. Ritegno è una parola che mi sono scritto e che ho imparato, ogni tanto la estraggo e la uso, e a Basso l’appioppo, gli sta bene e se la merita”.
Zandegù si sarebbe rifatto nella sedicesima tappa, la Lubiana-Tarvisio, 100 km volati via: “Quando ero in giornata, vincevo agevolmente, anche a mani alzate, peccato che di quelle giornate ne abbia avute poche. La tappa di Tarvisio finiva su un’erta, all’ultimo c’era una curva, presi la testa per tirare la volata a Gimondi, dovevo tirare per ordini di scuderia ma tirai troppo forte per il disordine mentale di cui dicevo prima, a poco dal traguardo mi voltai dietro, vidi Gimondi che stringeva i denti e mi mangiava con gli occhi, diedi retta al mio istinto selvaggio, pensai ai miei genitori e alle mie sette sorelle a casa, e quando finii quei nove pensieri avevo già vinto davanti a Gimondi e a Basso. Ero combattuto e diviso: nei confronti di Gimondi tremavo di imbarazzo, nei confronti di Basso scoppiavo di felicità. Fu un arrivo da ‘attenti al cane’”. Cioè? “Ce l’avevo così tanto con Basso – quell’anno aveva conquistato la maglia a punti e la Molteni aveva preceduto la Salvarani nella classifica a squadre - che, tornato a casa, sul cancello, accanto alla scritta ‘attenti al cane’, appiccicai la sua figurina”.