La Juventus di Pirlo. L’Inter di Conte. L’Atalanta di Gasperini. Il Napoli di Gattuso. Il Milan… di Ibrahimovic. Il vascello fantasma rossonero che naviga a fari spenti per i malmostosi mari del campionato, tagliando le nebbie del Covid con il naso aquilino del suo centravanti-totem appollaiato sulla prua, ha un condottiero mediaticamente invisibile che agisce a bassa voce, con la calma, la temperanza e la barba bianca del Captain Phillips di Tom Hanks. In un anno e una settimana che è al Milan, Stefano Pioli non ha mai mostrato i muscoli come il capitano di De Gregori, dritto sul cassero/fuma la pipa e poi andrà a sbattere: un capitano imbecille e dispettoso, disse una volta il Principe in un concerto, che ci insegna a diffidare da tutti i capitani. Nella piscina di squali tigre che è l’attuale calcio italiano, in cui per essere un buon allenatore – per stare alle recentissime parole di Francesco Totti – bisogna nascere fijo de ‘na mignotta, non sentirete mai nessuno parlare male di Stefano Pioli. Un signore, l’elogio più abusato. Un uomo perbene, come i patriarchi di campagna del primo atto di Novecento di Bertolucci (Pioli, parmigiano e cinefilo, apprezzerà la citazione). “Non è uno di quelli che mettono la panna nel ventilatore”, ha scritto Maurizio Crosetti su Repubblica (espressione curiosa).
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