il foglio sportivo

Un Giro d'Italia sghimbescio e Amarcord

Gino Cervi

Dai trabocchi della costa abruzzese alla riscoperta delle Alpi a Piancavallo, passando per la tappa felliniana di Rimini, il resoconto a parole della corsa rosa

Un Giro d’Italia si scompone in tappe e, per tradizione, sono 21. Noi si è provato a scomporlo in parole, 21, come le lettere dell’alfabeto italiano. Ne è uscito questo “Dizionario del Giro d’Italia”, scritto da Gino Cervi. Dopo le prime sette, eccone altre quattro. Le rimanenti le trovate sul prossimo numero.

 

Amarcord. A spiegare bene il perché ci vorrebbe un libro intero: qui basti questa annotazione da taccuino. Il ciclismo, molto più degli altri sport, sa conservare la propria memoria. E non solo la conserva: ne fa sostanza e alimento del proprio mito. La foto di Coppi e Bartali che si passano la borraccia sul Galibier; il volto di Ottavio Bottecchia spruzzato con il sifone del seltz; la risposta di Luigi Ganna, primo vincitore del Giro d’Italia, al cronista dell’Arena di Milano; le due dozzine d’uova trangugiate da Alfredo Binda; fino alla Liegi-Bastogne-Liegi corsa nelle neve da Bernard Hinault con le mani infilate dentro a un paio di guantoni da sciatore. Sono storie e immagini che appartengono ancora  al bagaglio condiviso di ricordi di tutti, professionisti e amatori, addetti ai lavori, cultori della materia o semplici suiveurs da bordo strada. Che il Giro si arrivato a Rimini, mercoledì 14 ottobre, nell’anno dei cento anni dalla nascita di Federico Fellini è stato un bel modo di rendere omaggio alla sua fantasmagorica macchina dei ricordi. Ce n’è uno, in particolare, in Amarcord che ha al centro la bicicletta.  È la scena delle “baffone” il giorno della benedizione degli animali al tempietto di Sant’Antonio, in piazza Tre Martiri, a Rimini. Titta e i suoi amici chiamavano “baffone” le procaci romagnole che arrivavano in bicicletta dalla campagna e avevano tutte, o quasi, un po’ di peluria sul labbro o sui muscolosi polpacci. Il momento clou era quando, fatti benedire in chiesa polli, oche e conigli, li rimettevano nelle ceste da trasporto e rimontavano in bici. Lo spettacolo era fermarsi a guardare, anche  per un attimo, quei sederoni di tutta la Romagna che, appoggiandosi ai sellini, esaltavano, quasi facendo esplodere, le loro generose  forme.
  

Linea Gustav. Nell’ottobre del 1943 i tedeschi costruirono uno sbarramento difensivo per ostacolare l’avanzata da sud delle truppe alleate. Sfruttando l’ostacolo naturale delle montagne appenniniche tra Campania, Lazio, Molise e Abruzzo, fortificarono con postazioni e trincee una larga fascia territoriale che andava dalla foce del Garigliano, sul Tirreno, alla città di Ortona, sul litorale adriatico. La chiamarono Linea Gustav. Dal novembre  del 1943 al giugno dell’anno successivo questo pezzo d’Italia fu scenario di distruzioni e massacri. Nel nostro girare intorno al Giro abbiamo conosciuto due luoghi che, quasi annientati dalla guerra, hanno avuto la forza e il coraggio di rinascere. Roccaraso, località sciistica dell’Alto Sangro, che nella prima metà del Novecento era diventata la meta del turismo invernale di molti napoletani, fu minata e fatta saltare dall’esercito tedesco in ripiegamento. Tollo, nell’entroterra di Ortona, fu quasi rasa al suolo dai bombardamenti alleati nel dicembre del 1943. Nonostante gli sfollamenti, in entrambi i casi furono molte le vittime. Roccaraso e Tollo sono due simboli di rinascita. La prima riavviò rapidamente la ricostruzione e fin dalla stagione 1946-47 riaprì alberghi e impianti. La seconda si risollevò anche grazie all’intraprendente operosità di due cantine cooperative che, a partire dai primi anni Sessanta, portarono lavoro e fecero di Tollo la “capitale del vino” abruzzese. Il ciclismo ha dato a suo modo una mano: Roccaraso fu arrivo di tappa al Giro fin dal 1952, quando vinse Giorgio Albani vinse la volata di una fuga a sei, battendo Raphael Geminiani, Pasqualino Fornara e Hugo Koblet; diventò appuntamento ricorrente (1953, 1964, 1976, 1980, 1987 e 2016); Tollo si lega al ciclismo per il fatto che per una decina d’anni la famosa cantina è stata sponsor di una squadra professionistica.

 

Sghimbescio. Ci sono ciclisti dei quali si è lodata la postura in sella, l’eleganza della pedalata. Fausto Coppi era tutt’uno con la sua bici e avresti fatto fatica a capire dove finivano le sue gambe e iniziavano le pedivelle. Di Jacques Anquetil si diceva che, mentre pedalava, avreste potuto appoggiare sulla sua schiena una coppa di champagne e non se ne sarebbe versata neppure una goccia. Di Gianni Bugno l’unica parte del corpo che pareva muoversi erano le gambe. L’elogio della “pedalata rotonda” invece non ha mai riguardato Domenico Pozzovivo e la sua andatura sghimbescia. Non lo riguardava neanche prima del terribile incidente che lo ha coinvolto nell’agosto del 2019: durante un allenamento sulle strade calabresi, un’auto che aveva invaso la sua corsia di marcia, lo investì frontalmente. Domenico riportò diverse fratture a un braccio e alla mano: solo otto interventi chirurgici hanno evitato che perdesse l’uso dell’arto. Nonostante tutto ciò – a fine stagione era rimasto anche senza contratto –, il piccolo, tenace e non più giovanissimo scalatore lucano (compirà 38 anni a fine novembre), è tornato in sella e in corsa. E in questo Giro ha dimostrato di essere tra i più in forma. Nonostante la malasorte continui a mostrare una molesta attenzione per lui, bersagliandolo di forature, nonostante la giornata storta a Piancavallo, se devo puntare uno scellino sul ciclista che meglio si comporterà nell’ultima settimana di corsa, lo faccio proprio sul nome di Mimmo. E sulla sua inconfondibile pedalata poligonale.

 

 

Trabocco. Da San Salvo a Ortona la costa abruzzese è punteggiata di trabocchi. Sono antiche macchine da pesca, piattaforme di legno che si protendono dal litorale sulla superficie del mare con un sistema di tiranti, argani, corde e lunghe antenne alle quali sono sospese le reti a maglie strette. Queste curiose strutture, diffuse fin dal Seicento, sono oggi tutelate dal Parco regionale della Costa dei Trabocchi. È prossima l’apertura di una pista ciclabile di 42 km, ricavata da un sedime ferroviario abbandonato che li fiancheggerà per un buon tratto. In occasione della sua inaugurazione, nell’aprile 2021, sarà organizzato una tre giorni, la Art Bike & Run, dedicata a ciclisti e runners, con la partecipazione di performance di arte murale lungo i terrapieni e nelle gallerie.

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