Ma valla a rivedere!
Cosa c'è che non va nel Var a due velocità
Il disastroso Giacomelli di Milan-Roma non è l'unico arbitro confuso in Italia. Rimediare al più presto
In pochi mesi si è passati dai tocchi di polpastrello puniti con un rigore ai penalty concessi per compensare altri errori. Un peccato, in una Serie A finalmente incerta e divertente
Certe notti, coi VAR che son chiusi, al primo autogrill c'è chi festeggerà. Non festeggerà Piero Giacomelli, l'arbitro dal talento talmente cristallino che la scorsa estate la CAN gli ha concesso in deroga un altro anno di serie A: a lui e a Giampaolo Calvarese, nonostante i due non sommino insieme nemmeno una partita internazionale. Forse non del tutto casualmente, sono stati Giacomelli e Calvarese i villain del quinto turno di un campionato bellissimo, dalla folle media di 3,69 gol a partita, che si preannuncia incerto e sorprendente – anche a causa del ritmo da Non si uccidono così anche i cavalli?, quel vecchio film di Sydney Pollack ambientato nella Grande Depressione dove dei disperati si sfidavano in una massacrante maratona di ballo per inseguire la chimera di un premio in denaro.
Negli errori di Atalanta-Sampdoria e Milan-Roma, razionalmente inspiegabili e nel secondo caso nemmeno revisionati – a cui altri commentatori super partes come Sandro Piccinini hanno aggiunto quelli contro Inter e Napoli sabato a Genova e domenica a Benevento – c'è una linea comune e ne ha scritto su Twitter anche Luca Marelli, ex arbitro di serie A diventato uno degli esperti più seguiti sui social. L'abbaglio di Calvarese, che ha punito col rigore un'entrata scomposta su Zapata del sampdoriano Keita – che però aveva calciato l'aria senza nemmeno sfiorare l'avversario – e non è tornato sui suoi passi nemmeno dopo l'on field review, è stato classificato in una casistica che fa scuola: convincersi di aver visto bene per non cambiare decisione (detto anche “metodo Abisso”, per via di quello sciagurato rigore concesso al 97' di un Fiorentina-Inter per un inesistente fallo di mano di D'Ambrosio che, come disse Spalletti, semmai era “di capezzolo”). Il primo rigore concesso da Giacomelli ieri sera, per un fallo di Bennacer su Pedro che in realtà era da invertire, è ancora più efferato: non si è nemmeno degnato di andare a riguardare per togliersi il dubbio – e d'altra parte, se uno è convinto, perché rischiare la figuraccia amplificata? Il sospetto però deve subito avergli scavato nella mente come un tarlo, se dopo otto minuti ha ricambiato il favore inventandosi un altro rigore per fallo di Mancini su Calhanoglu. Una compensazione da manuale, proclamata in diretta anche dai commentatori Sky, che forse rappresenta il grado zero di un arbitro professionista: dirigere e fischiare non in base al regolamento e ai principi di giustizia, ma all'ansia di dover riparare a un errore commesso poco prima. Una roba da calcio giurassico, quando non esistevano il VAR e nemmeno le telecamere, un calcio di cui si tramandano le leggende popolari di difensori che tiravano una riga per terra e ringhiavano al centravanti: se la passi ti spacco (un calcio non necessariamente migliore di quello attuale, come si vede). Faceva così, a volte, anche il principe assoluto della categoria, quel Concetto Lo Bello rimasto proverbiale che nel secondo tempo di uno Juventus-Cagliari del marzo 1970, decisivo per lo scudetto, fischiò un rigore lunare alla Juve e affrontò le proteste vibranti dei giocatori sardi con poche e memorabili parole: “Giocate la palla alta su Gigi Riva”. E a otto minuti dalla fine restituì il maltolto con un fischio altrettanto fantasioso. Riva pareggiò e al termine chiese a Lo Bello cosa sarebbe successo se si fosse fatto parare il rigore, sentendosi rispondere: “Non si preoccupi, l'avrei fatto ripetere”. Quella domenica le immagini televisive erano molto scarse per via di uno sciopero degli operatori: Lo Bello lo sapeva?
Giacomelli e Calvarese non sono Concetto Lo Bello e ogni loro topica viene sadicamente vivisezionata da telecamere, satelliti e proiezioni ortogonali. Verranno fermati per un po', come capitò lo scorso luglio a Fabbri che ingoiò il fischietto in un Roma-Parma su un fallo di mano gargantuesco ancora del povero Mancini. L'ottima idea di unire la CAN di serie A e serie B in un'unica grande associazione e alternarli tra le due categorie, per non spremere sempre e solo quei venti arbitri (oggi sono 48) e abituare le nuove leve alle asprezze della massima serie, consentirà un ricambio più facile. E alla fine i due obbrobri sopra descritti non hanno alterato granché i risultati del campo: la Sampdoria ha vinto lo stesso a Bergamo e la legge della compensazione, così ben applicata a San Siro, non ha fatto torti a nessuno.
Rimane però questo piccolo scempio regolamentare a futura memoria, e di conseguenza l'accesa disputa filosofica su un uso del VAR che ha completamente cambiato faccia in tre mesi. Dopo un'estate di torride e severissime punizioni su ogni minima infrazione di polpastrello, sui falli di mano si è tornati fortunatamente alla razionalità, con il contrappasso di dare la precedenza all'occhio umano anche su quasi tutto il resto, come da indicazioni di inizio stagione del designatore Rizzoli su cui i Giacomelli di turno si stanno prendendo troppe libertà. Il dibattito non riguarda solo l'Italia: in Inghilterra è furibondo fin dall'introduzione, in Spagna il Barcellona si è lamentato ufficialmente dopo un rigore contro fischiato nel recente Clasico, mentre in Germania i nostri cugini più razionali hanno aperto un account Twitter che spiega in tempo reale gli episodi più scabrosi. I nostri arbitri continuano a tacere, impreparati mediaticamente, spaventati dal cattivo esempio del loro presidente Nicchi che ogni volta che va in tv combina disastri e neanche troppo desiderosi di addentrarsi nella giungla dei social sempre pronta a infuocarsi, come se non avessimo altro a cui pensare.
Il silenzio e le contraddizioni alimentano il sospetto di un VAR a due velocità a seconda di chi sia l'arbitro coinvolto: la controprova in Lazio-Bologna, dove un gol del bolognese Svanberg è stato annullato dopo on field review a causa di un precedente contrasto falloso di Schouten su Lucas Leiva inizialmente valutato regolare dall'arbitro. Una decisione giusta nei fatti, immagini alla mano, ma contraria alle indicazioni di Rizzoli, che a inizio stagione ha suggerito di non ricorrere al mezzo tecnologico per i cosiddetti “episodi grigi” e già interpretati dal vivo dall'arbitro di campo. Non era casuale che a dirigere Lazio-Bologna fosse Massimiliano Irrati, l'arbitro italiano che meglio di altri ha intrapreso una brillante carriera da “varista” (tra le altre, la finale dei Mondiali 2018 Francia-Croazia e la finale di Europa League 2019 Chelsea-Arsenal) e dunque è probabilmente il più entusiasta tra i sostenitori del mezzo tecnologico, disposto a farsi aiutare e correggere ben più volentieri di altri.
Il ritmo è serrato: da stasera i nostri arbitri migliori sono di nuovo in Europa e nel weekend ancora in campo, come sempre in ordine sparso e sparpagliato, come capitato a Giacomelli. Gli arbitri sono soli e in questi stadi di nuovo vuoti come acquari anche un lontano bisbiglio che fa serpeggiare il dubbio può essere percepito come un urlo. Ma non si può restare soli, certe notti qui.
Il Foglio sportivo