"Maradona era il mio elettricista". Eraldo Pecci racconta il Pibe
El Diez compie 60 anni e il suo ex compagno di squadra (nonché suo vicino di casa in via Scipione Capece) nella prima stagione al Napoli ci spiega perché "Diego è stato un regalo"
Eraldo Pecci, chi era Diego Armando Maradona? "Era il mio elettricista". Sigla, sipario, applausi. Impareggiabile Pecci, questa va raccontata. "Abbiamo giocato insieme nel Napoli un anno, campionato 1985-86. Abitavamo in via Scipione Capece, stessa palazzina. Io piano terra, lui secondo piano. Quando lasciavamo la macchina nel garage seminterrato e prendevamo l’ascensore gli dicevo: Diego, fermati da me che ti insegno un po’ a calciare il pallone. E lui mi rispondeva: la concha de tu madre. Strano, mica la conosceva mia madre (ride). E poi aggiungeva: Fangulo Eraldo. Fangulo, con la gi; mi fa ancora ridere se ci ripenso. Diego è stato un regalo, altro che. Non sentirai mai nessuno parlare male di lui, era un ragazzo che Dio aveva mandato in terra per giocare a calcio e fare felici tutti quelli che amano questo sport. Dove eravamo rimasti?".
In ascensore.
"Dunque, quando prendo possesso dell’appartamento ci sono un tavolo, una cucina e un letto, nient'altro. Dovevano ancora arredarlo. La prima sera che sono lì sento suonare il campanello e vado ad aprire: era Diego".
Pecci, scusi se la interrompo, mi è venuta in mente quella punizione contro la Juventus - novembre 1985 - da dentro l'area di rigore. Maradona segnò un gol impossibile, facendosi beffe delle leggi della fisica. Nessuno ha mai più fatto un gol così.
"Era un genio, semplicemente. E i geni vedono cose che non esistono, le immaginano e poi le realizzano. Maradona era così. Boskov diceva che il campione vede autostrade dove gli altri vedono solo un sentiero, i geni come Maradona vedevano autostrade dove non c'era nemmeno il sentiero. Come quella volta della punizione".
Fu lei a passarle il pallone.
"La barriera era vicinissima, era impensabile pensare di fare gol da là. Diego mi fa: tocala un pochito indietro. E io: Diego, la palla non ci passa. Lui insiste: tocala. E io: Diego, non ci passerà mai. Poi però penso: ohi, Maradona sei tu, arrangiati. Così gliela tocco. Bè, la palla è passata, non so come, ma è passata. E quello resta un gol che non ha logica".
Ha rimpianti per avere giocato con lui un solo anno?
"No, quell’anno dovevo tornare a Bologna per motivi familiari. Mi dispiacque molto lasciare Napoli, avevamo chiuso il campionato al terzo posto, eravamo un bel gruppo, affiatato, era nata la squadra che l’anno dopo avrebbe vinto lo scudetto".
In quell’estate del 1986 Maradona vinse il Mondiale in Messico.
"E lo vinse da solo. Guarda, per me è stato il più grande di tutti. Sono confronti di lana caprina, lo so, nell'attico con lui ci metto anche Pelé, Di Stefano e Cruijff; ma Diego ha un posto speciale nel mio cuore. E oggi che compie 60 anni gli dico che gli vorrò sempre bene".
Non si accorse mai dei suoi vizi?
"No, quell’anno rigò dritto. Ogni tanto vedevo salire da lui certe facce che ti raccomando, ma insomma, è difficile essere un campione e gestire la quotidianità con equilibrio".
Cosa le ha insegnato Maradona?
"Che i più grandi sono anche i più disponibili, Diego era un buono. Una quindicina d'anni fa ci siamo visti a Cesenatico, era in Italia per partecipare a Ballando con le Stelle. Andiamo a mangiare sul lungomare, ovviamente gira la voce che c’è Maradona e comincia la processione. Io mi sposto in un tavolo più in là. Dopo un po’ Diego con un paio di amici si fa largo tra la calca e a gran fatica raggiunge la macchina, che era a circa mezzo chilometro dal ristorante: ci avrà messo due ore, a fare quelle poche centinaia di metri. A quel punto realizza che non mi ha salutato, così torna indietro, portandosi dietro tutta la processione, una marea di gente. Voleva solo scusarsi e salutarmi. Così mi fa: buonanotte Eraldo, grazie della bella serata. E torna indietro, sempre inghiottito dalla processione. Era un ragazzo d'oro, il Maradona che ho conosciuto io".
Ed era anche il suo elettricista. Finisca di raccontare, grazie.
"Giusto, dunque: suonano alla porta, apro, è Diego. In mano ha un televisore. Mi fa: Eraldo, questo è per te. E io: grazie Diego, sei gentile, ma non saprei come farlo funzionare, non me intendo, se provo a mettere la spina nella presa ci resto secco. Ci penso io, mi fa Diego. Entra e col televisore in mano si avvicina ad un mobile, lo appoggia sopra, si stende a terra, individua la presa della corrente, traffica con i fili per mezz'ora, mentre gli dico: Diego, grazie, fa niente, dai, andiamo a cena, lascia perdere. E lui scuote la testa e continua ad armeggiare con i fili, preme il telecomando, orienta l'antenna. Poi si alza e zac. Il televisore si accende. Non so come ha fatto, ma l'ha fatto. Hai capito perché a chi mi chiede chi era Maradona io rispondo che era il mio elettricista?".