EPA/Enrique Garcia Medina 

MINORITY REPORT

Chi era El Pibe

Giovanni Maddalena

Genio, dio, artista, icona, mito. Epiteti ed enfasi usate per raccontare Maradona, spesso non riuscendoci

A qualche giorno dalla morte dell’ex calciatore più amato del mondo si possono fare delle considerazioni a freddo sull’ondata di titoli, epiteti, enfasi e iperboli utilizzate dai media per descriverlo. Maradona evidentemente non era “dio” (L’Equipe e il Manifesto) e probabilmente neanche un “genio” (Monda sull’Osservatore Romano), se si intende genio nella sua accezione più propria. I geni sono quelli che, qualunque cosa facciano o dicono, illuminano un aspetto che rende una cosa difficilissima più semplice o fattibile o utilizzabile per tutti. Maradona era infinitamente superiore agli altri a giocare a calcio, e solo a giocare a calcio. Di geni ne nascono pochissimi in ogni secolo. Però, Maradona era in effetti un “artista” (Sgarbi sul Corriere, Zoff su Repubblica), una figura “iconica” (il conte Galè su RTL 102.5), una “leggenda vivente” (Cabrini sulla Gazzetta nell’intervista contestata), un “mito” (Mastrodonato su Wired).

 

 

In effetti l’essere in grado di incarnare un’idea in una serie di gesti, cioè di azioni determinate che diventano innovative e significative per tutti, è la virtù propria dell’artista in ogni campo. El Diego incarnava l’idea del calcio, che secondo il filosofo americano Vincent Colapietro è soprattutto una specie di danza ed è per questo aspetto che piace tanto in particolare ai popoli latini. Se vedete in slow motion il movimento dei giocatori su una punizione dalla trequarti, capirete che Colapietro ha ragione. Un artista, dunque. Ma che cosa vuol dire essere un’icona? Le icone sono tipi segno che rappresentano la forma dell’idea: in questo caso soprattutto del calcio come danza. I palleggi prima della semifinale di coppa Uefa, la celebre serpentina calcistico-politica agli inglesi (“ya lo sé, ya lo sé, quien no salta es un inglés” cantavano i tifosi in fila davanti alla Casa Rosada), la punizione impossibile alla Juventus, il cross a gambe incrociate sono forme perfette. Rimane da dire del mito o leggenda.

 

Che cosa vuol dire essere un mito? Quanto a effetto iconico perdurante, di paragonabile a Maradona c’è stata solo Marilyn, non a caso studiata in un celebre saggio di Roland Barthes. Come nel caso della diva, si tratta di rappresentazioni di un’idea – il calcio o la femminilità – che sono potenti perché non sono totalmente definite. L’idea del calcio di cui Maradona era icona rimaneva e rimarrà vaga e per questo è potentissima, anche se sempre meno vaga e potente della femminilità. Il calcio è danza, ma è anche una rappresentazione della guerra (Frank Ellis), un rito tribale (Desmond Morris), un’immagine di come si creano i significati (Ludwig Wittgenstein) e ovviamente, anche una cornucopia di valori capitalistici come la ricchezza, il potere (anche quello dei dittatori anticapitalisti), la fama, il successo, il sesso e l’eccesso. Tanti altri se ne potrebbero aggiungere: l’idea del calcio ha mille significati. El Diez li incarnava un un po’ tutti, dentro e fuori dal campo, giusti e sbagliati che fossero, creando così un’unità paradossale nella quale è impossibile separare gli aspetti (Vietti sul Foglio). Ce ne saranno altri che ne incarneranno molti, ma è difficile averli un po’ tutti. Non so se durerà per sempre come dicono enfatici i giornali, ma certo molto a lungo. Marilyn è ancora l’icona insuperabile di un’idea, dopo sessant’anni.

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