Il Foglio sportivo
Il dritto di Steffi Graf
Un libro racconta una delle tenniste più forti di sempre, che seppe uscire di scena senza farsi notare troppo
Stiamo assistendo alla caduta degli dei. Vediamo i grandi campioni ovunque: pubblicità di detersivi, Instagram stories, interviste su interviste a parlare del nulla, apparizioni pubbliche, inaugurazioni di negozi di cui sono testimonial. Un tempo gli atleti erano belli perché erano impossibili, adesso la maschera è caduta, sono persone normali, con tutti i nostri difetti. Cristiano Ronaldo che si allena sulla cyclette è un po’ meno Cr7, così come Federica Pellegrini che racconta su Instagram le cronache del contagio ci appare sempre meno divina. La verità è che non ne possiamo più di vederli così simili a noi, non ne possiamo più di vederli invecchiare, cercare ancora un po’ di luce come se non ne avessero ricevuta abbastanza. Non ne possiamo più di non provare nostalgia. In questo panorama di sipari alzati fuori tempo massimo, Steffi Graf rappresenta una meravigliosa eccezione. L’ex tennista tedesca, numero uno al mondo per 377 settimane diede l’addio al tennis in un giorno di agosto del 1999: “Lo dico subito: è una scelta liberatoria per me. Smetto anche perché, negli ultimi tempi, dopo il torneo di Wimbledon, ho perso il piacere di giocare, mi pesava prendere l’aereo per i tornei, mi pesava essere sempre lontana da casa. Insomma, non mi divertivo già e non mi era mai capitata una cosa simile in tanti anni. Il futuro? Mah, sarà il tempo a dire quello che vorrò fare”. Da quel momento in poi Steffi è diventata Stefanie ed è uscita di scena per sempre. Ogni tanto la si vedeva sugli spalti a tifare per suo marito Andre Agassi, dopodiché è sparita alimentando desideri, benedette nostalgie per quel modo di colpire la pallina.
A raccontare perfettamente la vita e la carriera di una delle più grandi sportive del Novecento è Elena Marinelli nel libro “Steffi Graf. Passione e perfezione”, appena uscito per la casa editrice 66thand2nd, il primo libro della collana Vite inattese dedicato a una donna e scritto da una donna. “Steffi è quel classico tipo di ragazza che se fosse in mezzo a una folla non noteresti mai. Ma eccola, vestita di bianco, con gambe lunghissime, la camminata leggermente ancheggiante, il mutismo dell’umiltà profonda, il cassetto biondo casuale che infila un dritto mai visto prima”. Graf è silenziosa, fredda, introversa, distaccata, forse soltanto timida. È stato suo padre Peter il primo a insegnarle come si sta in campo: regola numero : “Non farti vedere mai”. È così che in diciassette anni di carriera si conquistato centosette tornei, ventidue titoli del Grande Slam. Marinelli, che scrive di tennis femminile per l’Ultimo Uomo e cura il podcast sul tennis Volee, racconta tutto: dal 1983, l’anno del suo esordio nel circuito professionistico a quattordici anni, quando la scambiano per una raccattapalle, al suo ultimo Roland Garros conquistato, nel 1999 contro Martina Hingis. L’infanzia trascorsa a giocare in salotto con papà Peter, la rinuncia alla giovinezza, la rivalità con Arantxa Sanchez Vicario e con Monica Seles, la prima volta che ha giocato e perso a Wimbledon: “Papà, promettimi che non ci torneremo mai più”. Più di mille partite, novecento delle quali vinte, tutte a caro prezzo: “Steffi Graf ha cambiato per sempre la prospettiva del tennis femminile. Ha raccontato che per vincere in quel modo unico bisogna essere unici, ma lo ha fatto senza evidente brio, senza mostrare spensieratezza, e rinunciando alla sua età. Nessuna adolescente vuole essere Steffi perchè Steffi Graf adolescente in realtà non esiste, nessuno la conosce, nessuno ci ha mai parlato”. Ogni performance che non assomigli alla perfezione, per la giocatrice tedesca assume i chiaroscuri di un fallimento. Il tennis può essere una tortura, trasforma le ragazze in mostri, in macchine da guerra. Per Steffi Graf il tennis è stato bello ed è stato troppo, per questo si è ritirata a trent’anni, senza ripensamenti e sicuramente senza rimpianti. È stata dimenticata troppo presto e senza ragione. Era ora che qualcuno ricominciasse a parlare del suo dritto. Benedetta nostalgia.
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