Il regista che ha diretto "Maradona - La mano de dios" racconta El Pibe de oro, morto ieri a 60 anni. "Era come Charlie Parker. Ha raggiunto quella nota, quella perfetta, sua e sua soltanto. È quella nota, quella che ha trovato in campo, la cifra della grandezza di Diego. Il resto è ininfluente, terreno arido per moralisti"
Diego Armando Maradona è stato tante cose, non solo un calciatore. Anche una canzone: “Oh mama mama mama, oh mama mama mama, sai perché mi batte il corazon, ho visto Maradona, ho visto Maradona, oh mama innamorato son”. In quelle note, le stesse che accompagnavano la voce di Nilla Pizzi, che risuonavano, e a volte nonostante il tempo passato, risuonano ancora per i vicoli di Napoli, ci sta dentro qualcosa di più di un’infatuazione calcistica. “E non poteva essere che così. Perché Diego Armando Maradona è stato più di un calciatore. È stato amore, sincero e spassionato. Qualcosa di irripetibile”, dice al Foglio Marco Risi. Il regista El Pibe l’ha visto sbarcare in Italia, giocare, conquistare una città, “e forse qualcosa di più di una città. Non oso immaginare cosa succederà a Napoli. Maradona a Napoli ha donato calcio e meraviglia, la gioia, quella vera, la speranza, quella di un cambiamento e di una redenzione, ha fatto rinascere Napoli”. Tutto questo l’ha poi messo su uno schermo nel 2007, Maradona - La mano de Dios. Un film che spezzetta e ricostruire la figura di un campione “complesso, multiforme, capace di far esaltare i moralisti e allo stesso tempo rendere la morale qualcosa di fragile. Capace soprattutto di essere bandiera globale”.
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