Mi ricordo che quando ero piccolo, abbastanza piccolo, dovetti prendere un aereo per andare a trovare un’amichetta mia e la sua famiglia, che si era improvvisamente dovuta trasferire all’estero con tutti i parenti; abitava nel nostro palazzo e ci volevamo tutti bene, c’erano per questo di mezzo anche altre cose, delle quali vi risparmio il racconto. Non era affatto consueto prendere aerei per quelli come noi. E io infatti non l’avevo mai preso un aereo vero. All’aeroporto vidi tante cose incredibili, prima fra tutte la hostess che mi accompagnava e che chiamai per tutto il tempo “signorina”, come fosse il suo nome proprio di battesimo. Che si trattava di una donna di una bellezza imperiale, manco ve lo devo dire. Ma la cosa che mi colpì più di tutte fu che fra i passeggeri del volo all’interno dell’aereo c’erano stranamente due piloti. In divisa. Li notai subito. Belli, alti. Tenevano il cappello da volatori sulle ginocchia. Avevano dei bagagli piccoli, erano affabili. Si vedeva che sapevano tutto, i nomi delle nuvole, o delle strade in cielo. Erano a loro agio per aria, come i vetturini delle carrozze coi cavalli nel centro di Roma. Io e la signorina ci sedemmo vicini, e lei mi disse che avrei potuto chiedere a lei per qualunque problema. A me non mi parve vero, così la chiamai subito col braccio e le chiesi: “Scusi signorina, ma se i piloti stanno seduti là, l’aereo mo’ chi lo guida?”. Lei rise, poi lo disse anche ai piloti seduti. E risero pure loro. Insomma risero tutti, anche se non c’era niente da ridere.
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