La Fiorentina può retrocedere in Serie B?
La Viola è al quartultimo posto, tre punti avanti a Torino e Genoa. A Firenze ogni anno ad agosto si sogna in grande, ma alle prime difficoltà il morale crolla e si vivacchia. E quest'anno potrebbe non bastare
Il lato più surreale di un mestissimo Fiorentina-Genoa di lunedì sera è arrivato nell'intervallo, quando Sky ha mandato in onda una pillola di uno speciale dell'ottimo Giorgio Porrà su Franck Ribery: dipinto – certamente a ragione – come un fuoriclasse, un virtuoso, un esteta in grado di risvegliare il senso del bello di una piazza esigente come Firenze. Ma la realtà presenta il suo conto salato nel primo tempo precedente e nel secondo tempo seguente: la Fiorentina è una scatola vuota, non segna mai, non ha intensità, carattere e nemmeno foga agonistica, ha giocatori ultra-trentenni in condizioni impresentabili (da Callejon in giù) e giovani o ex-giovani di talento schiacciati dalla tensione o semplicemente dalla noia per un'altra stagione già finita prima di iniziare. E con il pubblico sarebbe peggio.
E poteva in effetti andare peggio, se Destro non si fosse mangiato lo 0-2 solo davanti a Dragowski e se la sorte avesse voltato le spalle alla Viola nel delirante flipper finale. La rabbia muscolare con cui il centralone Milenkovic ha scaraventato in rete la palla del pareggio al secondo tentativo, facendo le veci di una sterile batteria di prime punte, mezzali e trequartisti, fa a cazzotti con l'idealismo fanciullesco con cui Firenze approccia ogni nuova stagione, illudendosi di fronte alle prime partite coraggiose ma sfortunate: l'anno scorso un ottimo 0-0 contro la Juve, quest'anno la spettacolare sconfitta per 4-3 a San Siro contro l'Inter e la convinzione, tutta da dimostrare, che bastasse cambiare Iachini per invertire la rotta. Per poi sbalordire di fronte al progressivo e regolare appassirsi di una rosa che si deprime non appena si perde contatto con il treno dell'Europa, come se le stagioni durassero otto-nove giornate in tutto. E tutto viene trascinato in fondo al gorgo, anche Amrabat, uno dei migliori centrocampisti della scorsa stagione, anche Castrovilli appesantito di una maglia numero 10 che Firenze continua a offrire come un onore e un privilegio, scivolando subito nel paragone scivoloso e contro-producente (addirittura Antognoni). E saltano gli allenatori, prima Montella e poi Iachini, sempre ignorando le regole del buonsenso calcistico: se non sei davvero convinto, mai confermare l'allenatore che ti ha tirato fuori dai guai l'anno prima, perché ogni stagione è una storia nuova. E del resto Firenze ha tritato e sputato via anche il tecnico attualmente primo in classifica, collante dello spogliatoio nel momento più difficile che una squadra di calcio possa immaginare di vivere, trattandolo come un lavativo. E così scattano le operazioni revival alla Prandelli per tirare a campare “e poi vediamo”, e si finge di ignorare una classifica mai così inquietante a inizio dicembre nell'era post-Cecchi Gori, e si guarda al mercato e forse già alla prossima stagione, al prossimo allenatore – Sarri? Spalletti? - perché alla Fiorentina ci si illude sempre di avere un grande futuro, sia tecnico che architettonico – lo stadio, la cittadella, sbandierati dall'aziendalista Prandelli per rabbonire la piazza – senza tenere mai troppo in conto il presente.
A parte il già derelitto Crotone, le neopromosse 2020-21 non sembrano destinate alla tappezzeria: il Benevento è un plotoncino di mestieranti molto ben corazzato, mentre lo Spezia è addirittura uno dei progetti tecnici più coraggiosi della medio-bassa classifica, sebbene ancora piuttosto ingenuo. Soprattutto, hanno l'entusiasmo e la voglia di fare che sembrano completamente aliene a Fiorentina e Genoa. Potrebbe rimetterci le penne un grosso nome, comprendendo nel lotto anche lo schizofrenico Torino che pure, al di là dei suoi sciagurati ultimi quarti d'ora in direzione ostinata e contraria alla propria storia, dà segnali di risveglio. La Fiorentina non sembra fisicamente attrezzatissima, ha la verve di un'orchestra di fado, né mentalmente pronta a correre il rischio: il suo cast di attori non protagonisti dall'illustre passato, da Bonaventura a Borja Valero, dal capitano Pezzella al crepuscolare Ribery, non sembra realmente impressionato dal baratro che si era ormai spalancato al 96' di Fiorentina-Genoa.
Mancano ancora 28 giornate e un mercato di gennaio che si promette all'altezza, come si promette sempre a Firenze, salvo accorgersi ogni volta che qualcosa è andato storto. Pare che Commisso abbia già bloccato il centravanti per gennaio – si fa insistentemente il nome di Piatek – anche se prima dovrebbe capire cosa farsene delle tre prime punte che ha in rosa (al momento un gol Kouamé, un gol Vlahovic, non pervenuto Cutrone), nel frattempo non esattamente al settimo cielo. I continui riferimenti a un'ipotetica Fiorentina che verrà deprimono la Fiorentina che è, già poco convinta del supplente Prandelli (“è l'unico che ha accettato di venire con un solo anno di contratto”, è la vox populi), all'insegna di una sfiducia cosmica che isola i volenterosi e spinge i migliori a voler cambiare aria secondo l'esempio di Chiesa. La Fiorentina di oggi è un gol in cinque partite, di un difensore centrale, contro la penultima in classifica, alla fine di un mischione laocoontico ben poco progettato e preparato in allenamento. Rocco Commisso, uomo abituato a portare a compimento ognuna delle sue missioni, può consolarsi con lo storico di tutte le proprietà straniere in Italia, sempre partite molto male per poi trovare il bandolo della matassa tra la seconda e la terza stagione. Ma anche questo è futuro: del presente della Fiorentina, sembra non preoccuparsene nessuno.