Il Foglio sportivo - storie di storie

Le porte aperte di Condò

Mauro Berruto

Se gli ebook non hanno ancora insidiato i libri è anche per volumi come quello del giornalista e scrittore triestino

Se c’è un motivo per cui il mercato degli ebook continua a non insidiare quello del cartaceo è tutto rappresentato nel libro di Paolo Condò, Porte aperte (Baldini+Castoldi, 2020). “È un oggetto da feticisti”, dice l’autore. Vero. Splendido nella forma, nelle dimensioni e nella meravigliosa galleria fotografica questo oggetto non può non stare nella libreria di chiunque sia appassionato di storia e cultura dello sport.  

 

Poi, oltre all’oggetto, c’è il soggetto inteso come l’autore: un narratore triestino che si è sempre preso gioco di noi spacciandosi per giornalista sportivo e che in questo lavoro finalmente si svela per quello che veramente è: un antropologo, uno storico, uno psicologo, un sociologo, un osservatore e un pittore, anzi un amplificatore delle emozioni di quella bestiaccia che si chiama essere umano. Condò, inconsapevolmente, iniziò a regalarci questa mappa del mondo in trenta stadi nella primavera scorsa quando, durante il primo lockdown, iniziò a pubblicare dei thread su Twitter. Il libro nacque lì, in un momento in cui il mondo era fermo, attonito, gli stadi spenti. Condò iniziò in quel momento una navigazione, tracciando una rotta e identificando dei porti dove recuperare le forze minate dalle vomitate che quel mare in tempesta ci stava causando. Una selezione di quei porti, le grandi cattedrali del calcio, è diventata oggi un libro che mette insieme ricordi di una strepitosa carriera, momenti calcistici indimenticabili (per lui e per noi), tanto studio e una magistrale capacità di leggere il contesto.

 

“Il libro è quanto di più simile a un’autobiografia potrei mai concepire, perché il calcio è stata anche una splendida scusa per vedere il mondo, e più i luoghi in cui mi mandavano si scostavano dai percorsi tradizionali, meglio mi trovavo. Studiavo molto prima e vivevo molto durante quei viaggi. Conoscevo tutto dello stadio di Santiago, della morte di Allende e della dittatura di Pinochet. Sapevo cos’era successo sulle colline che cingono Sarajevo. Ho contatti preziosi a Bilbao, Pechino e Soweto. Se i giornalisti sportivi rispetto agli altri sembrano più semplici, non è perché hanno minori curiosità”. È tutto qui, in queste parole che Paolo Condò scrive nella sua introduzione il cui titolo potrebbe averlo fatto Gabriel Garcia Marquez: Cronache di un tempo sospeso. Il tempo si sospende di nuovo nella lettura, un viaggio che parte dall’Italia, passa per i Balcani, l’Europa centrale, quell’isola che non ha più voluto essere Europa e che il football lo ha inventato. Poi tanto Sudamerica, un po’ di Asia, una puntatina in Sudafrica e un ritorno a casa nel nostro Vecchio Continente, dalla penisola Iberica all’ultima fermata di Parigi. Anzi, speriamo non sia l’ultima, perché questo è uno di quei libri che appena l’hai finito già speri nel sequel. E visto che in questa rubrica l’abitudine è quella di suggerire letture, completo la mappa di quest’opera (opera prima, speriamo) con uno stadio che è il tempio mio e di tutti i tifosi del Toro e di cui hanno scritto Vincenzo Savasta e Fabrizio Turco, Filadelfia. Storia di un territorio e del suo stadio (Bradipolibri, 2017) la casa dove tutti noi tifosi granata vorremmo felicemente assembrarci oggi, in attesa del derby. 

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