Piccolo Torino
Cos'è successo al Toro?
Rosa spelacchiata, giocatori svogliati, allenatore confuso e presidente ormai poco credibile
Problemi tecnici, tattici, fisici e mentali dietro al penultimo posto della squadra granata in Serie A. Non resta che sperare nel Gallo Belotti
La settimana scorsa ci siamo chiesti se la preoccupante Fiorentina di questi mesi rischi davvero il bagno di sangue di un'inaudita retrocessione. Figuriamoci se non possiamo girare la domanda al Torino che giace tre punti più dietro, e “giace” non è un verbo usato a caso. Alla vitalità di Inter-Torino e Juve-Torino, arruffata e alla fine sfortunata ma pur sempre segno di qualcosa che covava sotto la cenere, è seguito il coma profondo di un Torino-Udinese dominato dalla squadra ospite molto più di quanto dica il punteggio, 2-3, che premia eccessivamente un Toro che ha giocato a calcio sì e no per cinque minuti su 90.
“Cos'è successo al Torino?” “Non lo so”, ammette nel salotto di Sky un granata di lungo corso come Luca Marchegiani. “Quest'anno non lo so”. La rabbia sta velocemente lasciando il posto allo sconforto, gli animi sono provati da sconfitte sempre più paradossali come quella di sabato pomeriggio, che porta con sé anche la presa in giro dell'illusione di una rimonta da 0-2 subito frustrata dall'ennesimo gol da polli. Secondo noi invece Marchegiani lo sa, come lo sanno tutti, e solo l'affetto per il Toro gli impedisce di affondare la lama. In questo momento il Torino, semplicemente, non è. Non è, vista da nessuno dei quattro lati che formano il rettangolo di ogni squadra di calcio: il lato tecnico, tattico, fisico e mentale.
Tecnicamente è una squadra modesta aggrappata al suo centravanti, la cui andatura ingobbita somatizza ed enfatizza sempre di più il peso della storia e la mancanza di umiltà di una società che tanti anni fa l'aveva valutato 100 milioni di euro. Abbandonato a sé stesso, spesso costretto a ripiegare a centrocampo per battagliare da mediano, dato che il Torino è una squadra-ciambella con il buco in mezzo, un centrocampo senza alcun bagliore tecnico, un triangolo delle Bermuda in cui si stanno inabissando carriere decorose ma ormai al lumicino come quella del 33enne Tomas Rincon, costretto dalle circostanze a improvvisarsi regista.
Tatticamente paga la scelta di affidarsi a Marco Giampaolo, allenatore di alterne fortune che assolutamente non è uomo per tutte le stagioni: affondato con tutte le scarpe nello stress di Milanello con il suo 4-3-1-2 impossibile, il sistema di gioco che conosce meglio, ha provato a riproporlo ostinatamente al Toro pur dovendo a fare a meno del regista (vedi sopra) e del trequartista, a meno che qualcuno non riponga ancora speranze in Simone Verdi, per 25 milioni probabilmente il peggior affare dell'intera carriera da imprenditore di Urbano Cairo. La presa d'atto di un mercato inaccettabile per le sue idee di gioco ha portato Giampaolo all'abiura del trequartista e al passaggio a quest'ultimo abborracciato 3-5-2, rapidamente declinato in 5-3-1-boh? (il “boh?” è Zaza) essenzialmente per sfruttare la verve del cavallone Singo unica nota lieta dell'annata 2020-21: ripetuti lanci di dadi che non anticipano nulla di buono nel breve e medio termine, specialmente ora che il calendario fino a Natale dice Roma, Bologna e Napoli.
Fisicamente, beh, avrete sentito parlare di quell'incredibile statistica che vuole tuttora il Torino al terzo posto della classifica a fine primo tempo. In questa stagione il Torino è stato in vantaggio in otto partite su undici, vincendo solo quella in casa del Genoa (dove ha tirato una sola volta nello specchio della porta segnando due gol, capolavoro di cinismo rimasto caso isolato). La rosa è spelacchiata, conseguenza dei remi in barca tirati già durante il primo lockdown, con il povero Moreno Longo costretto ad arrabattarsi con una quindicina di giocatori in tutto, e neanche dei più brillanti. Le alternative non sono all'altezza, o perché appena arrivati (Linetty, Gojak, Vojvoda, Bonazzoli, anche costosi ma per ora non più che comparse) o perché logori e demotivati, e questo ci porta al punto successivo, ovvero il lato mentale. L'attuale Torino, per rimanere in un ambito lavorativo caro al suo presidente, sembra la redazione di uno di quei vecchi quotidiani cartacei in cui ogni mese vengono snocciolati dati sempre più avvilenti sulle vendite e sulla raccolta pubblicitaria, con un libro paga appesantito da redattori sempre più anziani, demotivati e malmostosi, che si lamentano alla macchinetta del caffè di com'erano belli i benefit dei bei tempi andati e in alcuni casi rimpiangono persino le macchine da scrivere e i giocatori con i numeri dall'uno all'undici, mentre la barca, inesorabilmente, affonda. Cogliamo fior da fiore nell'elenco di giocatori dallo specchiato curriculum, in molti casi nobilitato anche da varie presenze in Nazionale, e oggi avvizziti, svogliati, insensibili alle grida di dolore della classifica: Ansaldi, il lungodegente Baselli, Zaza, Meité, Izzo, Nkoulou, il bolso Rodriguez scaricato dal Milan, per chiudere con Sirigu che è incredibilmente il peggior portiere del campionato per percentuale di tiri parati (sotto il 40 per cento!), lui che appena due anni fa era il migliore.
Qualcosa si è rotto dal Wolverhampton in avanti, il proibitivo play-off di Europa League che nell'estate 2019 portò con sé la polpetta avvelenata del caso-Nkoulou, e questo è pacifico; ma la lista degli allenatori, dei giocatori e dei dirigenti bruciati dal Torino sta diventando troppo lunga per pensare che sia solo un elenco di sfortunate coincidenze e di singole inadeguatezze. La tentazione di schiacciare il pulsantino del reset è molto forte e l'impressione è che ci stia pensando lo stesso Cairo, accettando l'amaro in bocca di una retrocessione da naso tappato che gli consentirebbe finalmente di fare piazza pulita. Ma – per tornare al paragone iniziale – Cairo non è Commisso, che comunque è arrivato appena da un anno e mezzo e ha un'innata furbizia da arruffa-popoli italo-americano; Urbano si è già bruciato da un pezzo quel poco di fiducia e credibilità che si concede sempre ai nuovi presidenti e si mostra ora sempre più dimesso e spaventato da una stagione horror oltre le peggiori aspettative, sapendo benissimo di non avere la forza – anzitutto economica – per girarla a suo favore. Per dire, con questi chiari di luna non è più tempo di isterici cambi di allenatore (per quanto un Davide Nicola, per l'uomo e il tecnico che è, potrebbe fare al caso), al massimo l'ennesimo ritiro punitivo che non serve mai a niente. E allora, amici granata? Vi aggrapperete al Gallo, come sempre. Otto gol e tre assist in dieci partite con questa razza di squadra, vi rendete conto? Sinceramente, non è troppo lontano da Lukaku, Ronaldo o Ibrahimovic.