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C'era una volta un re, Pelé

Giovanni Battistuzzi

Stasera su Sky sport Uno va in onda la prima puntata di "Pelé - O Rey", lo speciale che Federico Buffa ha dedicato al campione brasiliano

Il 29 maggio del 1958 è una di quelle date che “difficilmente si possono dimenticare”. Almeno per chi allora stava a Firenze e di calcio era appassionato. “E io il pallone l’ho sempre amato e della Fiorentina sono tifoso dal 1939, da quando avevo cinque anni, ma solo perché prima non c’ho molti ricordi. Si era in B allora, una brutta pagina di una grande storia, io però della B non è che abbia molto in testa. Dopo invece...”, dice al Foglio Rubino Giotti, qualche anno nelle giovanili della Fiorentina, una decina a fare il portiere “scarso” nei dintorni di Firenze, “una vita a fare il meccanico di bici, ma in Brianza, dove m’aveva preso in simpatia il gran Fiorenzo Magni”.

 

“Quel giorno, quel 29 maggio del 1958, si era tutti allo stadio, al Comunale, e non lo si può scordare. Perché era l’ultima partita in maglia viola di quel fiore coi baffi che era Julinho e perché c’era il Brasile. Il Brasile quello vero, la Nazionale”, ricorda Giotti. “Che partita. Garrincha ci fece soffrire e divertire, Didì era un architetto, un maestro di pallone, Altafini ci fece una doppietta. Fu una gran partita. Eppure...”. Eppure quel giorno è stato quello del rimpianto. “E non solo perché era l’ultima di Julinho, eravamo tutti tristi, certo, ma era nostalgia che saliva. Il rimpianto è un altro: non aver visto giocare Pelé. Quel giorno nessuno sapeva chi fosse Pelé, perché Pelé non era nessuno allora. È proprio per questo che rimpiango che fosse infortunato. Ti immagini aver potuto vedere in azione il giocatore più forte di tutti i tempi prima che diventasse il più forte di tutti i tempi?”. E Maradona? “Maradona è un’altra cosa. Maradona l’abbiamo visto, vissuto, abbiamo osservato coi nostri occhi quanto fosse meraviglioso. Ma Diego era realtà, Pelé no, Pelé era racconto, per questo è indimenticabile”.

  

Perché si parla ancora della Cuneo-Pinerolo di Fausto Coppi? Perché nessuno l’ha vista ma tutti l’hanno immaginata. Per Pelé è uguale. Generazioni e generazioni di appassionati di calcio se lo sono immaginato fortissimo e “quel poco che abbiamo visto ha confermato la nostra immaginazione. Pelé è un gran racconto, il più bello che è arrivato a noi”, commenta Giotti.

 

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Pelé ha unito gli anni Cinquanta agli anni Settanta, ha reso popolare il Brasile, ha conquistato il mondo tre volte e pure gli Stati Uniti, la terra dove il football si chiama soccer e che per questo sport non ha mai provato amore. Secondo la Fifa ha segnato 1.281 in 1.363 partite, 761 reti in 821 incontri ufficiali. Pochi di questi sono stati filmati. Di quelli finiti su pellicola alcuni sono geniali, molti straordinari, qualcuno di rapina. Le sue azioni erano un misto di velocità, classe, potenza e danza. “Aveva un incedere deciso ed elegante. Ti accorgevi subito che non era un calciatore come gli altri, ma che aveva qualcosa di straordinario. Sì, era un re, O Rey era il soprannome perfetto, peccato non aver avuto per primo questa idea”, sentenziò lo scrittore brasiliano Jorge Amado

  

Pelé è racconto, è un mettere in fila testimonianze, perché “quando vedi giocare certi giocatori, beh, non te lo puoi dimenticare”, sottolinea Giotti, ricordi, filmati, foto. Pelé è musica e teatro, un teatro-futebol, un futebol-canzone, lirica e teatrodanza, samba e bossanova. E da un teatro, il Gerolamo di Milano, Federico Buffa ha raccontato Pelé in “Pelé - O Rei”, perché altro non si poteva fare: rendere romanzo vocale (e visivo) l’eccezionalità calcistica del campione brasiliano.

 

  

Stasera, martedì 15 dicembre, alle 23 su Sky Sport Uno (e su Sky Arte mercoledì 16 alle 17 o in versione integrale on demand su Sky Q) va in onda il primo episodio (dei tre): Dico, il giovane Pelé.

  

   

Quello di Buffa è l’epifania del calciatore, l’apparizione dal nulla di Edson Arantes do Nascimento, perché dal nulla sono arrivati tutti (o quasi) i grandi campioni. Un salto all’indietro in quel paese che stava per cambiare volto e pelle, che stava iniziando a mescolare samba e jazz e che con la bossanova scoprirà anche quel Edson detto Dico, poi per tutti Pelé. È un Pelé quello di Buffa spiegato e narrato, visto e intravisto in spezzoni, gol e dribbling, soprattutto musicato, che segue un filo musicale di regole e improvvisazione, ossia “la base dell’eccezionalità brasiliana. E non solo calcistica”, sottolineò Roland Barthes.

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