Cosa sta succedendo all'Arsenal?
I Gunners, nonostante la vittoria contro il Chelsea nel Boxing day si trova nelle ultime posizioni della Premier League. Una crisi più societaria che tecnica
Giorno di Natale, London Colney. Immerso nel verde dell’Hertfordshire, alle porte della City, Mikel Arteta viene subissato dalle domande durante la conferenza alla vigilia del 3 a 1 rifilato al Chelsea. Basta la prima risposta per inquadrare tutta la stagione: "Inutile stare qui a cercare scuse, sta a me trovare delle soluzioni per l’Arsenal. E alla svelta perché i prossimi dieci giorni ci diranno se lotteremo o meno per non retrocedere". Dopo il successo sui Blues, che ha messo fine a un'astinenza da successi in Premier durata 56 giorni, la sfida clou di questo periodo chiave sarà quella del 2 gennaio. Trasferta a Birmingham contro il West Bromwich Albion, squadra guidata da un vecchio lupo del calcio inglese come Sam Allardyce, che con grande anticipo ha alzato i toni della sfida: "Sì, li considero rivali diretti per la salvezza. Si stanno chiedendo perché sono così in fondo, perché la squadra non gira e come possono rimediare. Noi dovremo approfittare di tutto questo".
Nessuno usa più giri di parole, il peggior avvio di stagione dell’ultimo mezzo secolo ha accostato l’Arsenal alla relegation battle, la lotta per non sprofondare in Championship. Anzi, l’ha inserito di diritto tra i protagonisti della contesa perché la crisi viene da lontano e non è solo una questione di risultati. Il sentimento è ampiamente diffuso intorno al club, come conferma Layth Yousif, editor della Gooner Fanzine, la voce dei tifosi dei Gunners sin dagli anni Ottanta: "Il problema non è l’allenatore, non sono i giocatori di alto livello che abbiamo in rosa e nemmeno i risultati, visto che negli ultimi mesi abbiamo vinto Fa Cup e Community Shield. Il problema è che dopo l’addio di un manager a tutto campo come Arsene Wenger siamo rimasti con una società fantasma, con una presenza trasparente come quella di Stan Kroenke e del figlio Josh. Non si fanno mai vedere, non si stanno esponendo nemmeno in un momento di crisi come quello attuale e per loro finché il bilancio è positivo va tutto bene". Oltre al tecnico francese, ormai da due anni ha abbandonato la nave anche l’attuale amministratore delegato del Milan, Ivan Gazidis, da molti dato in rotta di collisione con lo stesso Kroenke per via d’una strategia societaria fumosa, poco attenta alla bacheca e più propensa alle cessioni eccellenti per fare cassa, come testimoniano gli addii più noti dei vari Fabregas, Szczesny, Van Persie, Nasri e Sanchez. Il magnate americano Kroenke gestisce i londinesi a debita distanza, dovendo occuparsi anche dei Denver Nuggets in Nba, dei Colorado Rapids in Mls e dei Los Angeles Rams in Nfl.
Parlando con Yousif, madre irlandese e padre iracheno sbarcato a Londra negli anni Sessanta, l’impressione è che il club venga trattato come un giocattolo per generare profitti: "Per molti l’era di Wenger ormai non aveva più nulla da offrire, ma quel vuoto dopo due anni e mezzo non è ancora stato colmato. A fine novembre d’un anno fa hanno cacciato Emery, ora sembriamo essere punto e a capo con Arteta. Guardate come stanno gestendo il caso Ozil, uno che per stare fuori rosa incassa quindici milioni di sterline l’anno. Da quando sono arrivati gli americani non c’è più una visione. E dire che hanno preso la società al suo apice, tra l’élite del calcio europeo, reduce dalla finale di Champions 2005/2006 e dal redditizio trasloco all’Emirates, con un progetto costruito attorno a gente del calibro di Henry, Bergkamp, Campbell, Pires e Fabregas. Dopo quasi quindici anni come siamo finiti in questo buco nero?".
Il campanello d’allarme è arrivato fino in Colorado, a Denver, presso il quartier generale della Kroenke Sports & Entertainment, dove già erano stati mandati giù i bocconi amari delle ingenti perdite generate dal Covid-19, che tra le altre cose ha falcidiato gli introiti dal merchandising e dalla biglietteria. E ora che lo spettro della retrocessione incute paura, la dirigenza ha deciso di inserire in modo arbitrario delle clausole nei contratti dei giocatori nel caso in cui la Championship diventasse una realtà. Si parla di una riduzione coatta degli stipendi di almeno il 25 per cento per tutta la rosa, ma che potrebbe sfiorare il 40 per cento per i big come Aubameyang, Pépé, Xhaka, Willian e Lacazette, i quali fanno lievitare il monte ingaggi annuale fino a 150 milioni di sterline. L’ex centrocampista Jamie Redknapp, figlio del tecnico Harry e cugino di Lampard, va giù pesante con i calciatori stessi: "Capisco chi vuole tutelarsi, vedo una squadra impaurita, che spesso non risponde dal punto di vista tecnico e mentale. Ho sentito parlare di più spaccature nello spogliatoio. Di fronte a questo un allenatore nuovo può fare ben poco, serve una profonda rivoluzione a gennaio. Ma i dirigenti attuali hanno le capacità e la giusta visione per farlo?".
Negli almanacchi per trovare l’ultima retrocessione bisogna tornare alla stagione 1912/1913, quando la squadra era ancora a Woolwich, sulla riva meridionale del Tamigi, e molti dei pionieri lavoravano presso l’adiacente fabbrica di manifatture militari. Ai Gunners di adesso restano solo i cannoni sullo stemma. E le polveri sono piuttosto inumidite.