Il teatrino assurdo del Torneo di Capodanno
Quarant'anni fa iniziava la competizione più sgangherata e meno necessaria della storia del calcio italiano
Ionesco non giocava, ma è come se. Torneo di Capodanno, teatro dell'assurdo. Quando il 1980 scavalla nel 1981 l'inverno del nostro scontento chiude un anno che ha colpito al cuore l’Italia. Strage alla stazione di Bologna, Ustica, terremoto in Irpinia. Ferito anche il pallone: 23 marzo, la domenica delle manette negli stadi, scoppia lo scandalo del calcioscommesse, il calcio perde la sua innocenza. In estate - a casa nostra - va in scena l'edizione più grigia della storia dell’Europeo. Il 4 gennaio 1981 parte il Torneo di Capodanno, il più dimesso dei tornei italiani, una scombiccherata edizione che (non) trova la sua ragione di vita nell’angosciato urlo che l'allenatore dell'Ascoli Carlo Mazzone consegna al cielo durante la bufera di neve in un dimenticato Ascoli-Napoli. "Ma che ce famo qua?". Quarant’anni dopo, proviamo a dare una risposta.
L’innesco arriva dal Mundialito, torneo voluto dalla dittatura uruguaiana per celebrare il Cinquantenario del primo Mondiale organizzato a Montevideo. Partecipano tre sudamericane (Uruguay, Argentina e Brasile) e tre europee (Italia, Germania Ovest e Olanda, quest'ultima al posto dell'Inghilterra, che ha rifiutato l'invito). Vince l'Uruguay, gli azzurri di Bearzot escono subito di scena. Il Mundialito - tra le polemiche - impone lo stop del campionato, ecco allora l'idea del presidente della Lega Renzo Righetti: consentire alle squadre di A una regolare attività agonistica nel periodo di sospensione della Serie A. Ci si organizza un po’ all'amatriciana. 4 gironi da 4 squadre, ma i tempi sono stretti, quindi ogni squadra gioca solo due partite e fatevele accontentare. C'è un bonus per la vittoria con più di un gol di scarto. Vinci 1-0? Ti prendi 2 punti. Vinci 3-1? I punti diventano 3 (2+1). Viene introdotta una nuova regola: le rimesse laterali potranno essere battute con i piedi, come nel calcetto. In realtà l’ammirevole intenzione della Lega è quella di innovare il più possibile. Si studia la possibilità di abolire il fuorigioco, di prevedere l'espulsione a tempo e di battere un corner corto al limite dell’area. Ma alla fine salta tutto, i club nicchiano: resta solo la rimessa con i piedi.
Il 1980/81 è anche il campionato della riapertura delle frontiere, così per il Torneo di Capodanno c'è la possibilità di tesserare un secondo straniero part-time. La Fiorentina ingaggia lo svedese Mikael Rönnberg, l'Inter lo jugoslavo Abid Kovačević, l’Udinese l’austriaco Hans Dieter Mirnegg. Nessuno di loro lascerà una traccia nella storia del calcio; il solo Mirnegg - grigio terzino dallo sguardo truce - giocherà l'anno dopo nel Como. E’ un torneo tappabuchi, questo appare chiaro a tutti fin dall’inizio. I club si lamentano, i calciatori vorrebbero andare in vacanza, gli italiani disertano gli stadi. Ivanoe Fraizzoli, presidente dell'Inter, dice che si tratta di "Una coppa del nonno", il collega dell'Udinese Teofilo Sanson parla di "Fallimento totale". Allegria, in effetti.
La Lega impone d'autorità prezzi comuni e contenuti. Una tribuna numerata costa 10.000 lire, non coperta 7.000. 5.000 lire i distinti, con 2.500 lire si va a prendere freddo in curva. Ma il botteghino ulula alla luna il suo lamento. Per il derby campano tra Napoli e Avellino ci sono meno di duemila spettatori, la media è quella. Alla fine delle 18 partite si raccolgono meno di 300 milioni di lire. Juventus e Torino chiedono di giocare in trasferta: sarebbe troppo triste farlo in un Comunale vuoto. Il torneo, sciatto e scalcagnato, procede con stanchezza; eppure a Pistoia i tifosi di casa trovano il tempo e la voglia di fare a botte con quelli della Fiorentina. Beffa finale: gli organizzatori hanno fatto male i calcoli. Il Mundialito finisce, non c'è più tempo per giocare la finale. Ok, la rimandiamo a fine campionato. E così il 14 giugno al Cino e Lillo del Duca l'Ascoli batte Juventus 2-1: apre Trevisanello, pari di Tardelli, rigore della vittoria del ragionier Adelio Moro, rigorista infallibile in quegli anni in bianco e nero. Il pettinatissimo Moro aveva una sua filosofia: mai guardare il pallone, tanto non si muove. Ma questa è un'altra storia.