Il Foglio sportivo
I pugni della famiglia Duran
La tragica fine di Carlos, pugile argentino diventato grande in Italia
Augusta Becchetti lavora in un bar di Galleria Matteotti a Ferrara. Bionda e bella, ha compiuto da poco vent’anni. Aiuta i genitori nella gestione del locale frequentato dai calciatori della Spal. Carlos Duran ha i tratti da indios e ordina una camomilla in un italiano mescolato con lo spagnolo. È un pugile argentino, si è appena trasferito in Italia per combattere. I due fanno conoscenza e poco a poco si innamorano. I genitori di lei inizialmente non sono d’accordo. C’è della diffidenza nei confronti di uno straniero che ha un mestiere precario.
Nato a Rosario nel 1936, Carlos si è trasferito con la famiglia (padre indigeno e madre calabrese) a Buenos Aires. Qui ha iniziato a boxare in una palestra di quartiere e qualche anno più tardi è al Luna Park, il Madison Square Garden argentino, a sconfiggere il peso medio Andres Selpa, un idolo locale. Nel 1960 arriva a Ferrara. Si sposa con Augusta, il rapporto con i suoceri è ricomposto e ormai li tratta come fossero i genitori. Nel 1963 nasce Massimiliano, quindici mesi dopo Alessandro.
Nel 1964 nel Palazzetto dello Sport di Roma incontra Emile Griffith. Viene a sapere di dover combattere solo con una decina di giorni di preavviso. Augusta sente per radio la notizia e si mette a piangere. Griffith fa paura. Ma il marito la tranquillizza: “Stai tranquilla, non mi darà neanche un pugno”. Carlos non ha la dinamite nelle mani, ma è un pugile con una tecnica eccezionale, soprattutto in fase difensiva, ed è sorretto da un atletismo invidiabile. Finisce con un No contest perché il pubblico romano fa una gazzarra incredibile e l’arbitro è costretto a sospendere il match. Pochi mesi dopo Duran perde ai punti con Nino Benvenuti a Milano.
Intanto ottiene la cittadinanza italiana e può giocarsi il titolo nazionale. Inizia la sua scalata che lo porta a diventare campione europeo. Nei Sessanta e Settanta tra i pesi medi ci sono campioni assoluti. Con Carlos Monzon, anche lui nato a Santa Fé, non combatterà mai. Monzon è più giovane di sei anni. Duran è un uomo intelligente, sa che non avrebbe scampo con la potenza devastante del connazionale. Nel 1971 a Montecarlo diventeranno amici, sei anni dopo Duran andrà al suo angolo, accanto allo storico maestro Brusa durante l’incontro con Valdes. Nel 1978, entrambi si sono già ritirati, viene organizzato in Argentina un match di esibizione tra i due. È l’anno del Mondiale vinto in casa dalla squadra di Menotti. L’incontro non si fa, perché Monzon è indisponibile. Carlos torna comunque nel suo paese d’origine, diciotto anni dopo che l’ha lasciato per cercare fortuna in Italia. È allo stadio Monumental quando la Nazionale di Bearzot sconfigge la Seleccion con un gol di Bettega. S’accorge in quel momento di sentirsi italiano perché tifa gli Azzurri. Succederà anche nel 1990 quando le due formazioni si troveranno di fronte nella semifinale mondiale. Prima della partita posiziona sul balcone la bandiera argentina, tra i due tempi la toglie e alla fine è addolorato dalla sconfitta ai rigori della squadra di Vicini. È orgoglioso che lo chiamino Carlo, come Benvenuti è per tutti Nino e Mazzinghi è Sandro.
Diversamente da Monzon, Carlos fa una vita francescana. Ha conosciuto il suo amore ordinando al bar una camomilla e ha proseguito sempre senza eccessi. Lavora duramente e alla sera va a letto dopo Carosello. Se Benvenuti è in diretta tv in seconda serata, non lo segue. Il sonno è fondamentale per un atleta.
Oltre al nome di battesimo, al paese d’origine, purtroppo Duran è accumunato a Monzon dalla tragica fine. Anche lui è morto in seguito ad un incidente stradale. È il 2 gennaio 1991, trent’anni fa, e con la sua Alfa sta percorrendo l’autostrada tra Sestri Levante e Livorno: una distrazione alla guida, esce dalla carreggiata andando a colpire un camion fermo in una piazzola di sosta. Poche ore dopo Carlo Duran è dichiarato morto. Aveva solo 54 anni.
Aveva chiuso la carriera nel 1973 a Lignano con una promessa alla moglie: “Questo è l’ultimo”. Così è stato, per un anno non ha frequentato luoghi che avessero a che fare la boxe. Ha paura che gli torni la voglia di combattere. Poi piano piano riprende i contatti con questo mondo che tanto gli ha dato.
Augusta dopo essere stata la moglie di un pugile professionista campione d’Europa (oggi con tutte le sigle e le categorie che si sono moltiplicate sarebbe stato con ogni probabilità un campione del mondo) diventa la mamma di due pugili. Massimiliano e Alessandro hanno la stessa passione del papà e non possono stare distanti dalle palestre. Li allena quello che è stato anche il mentore di Carlo cioè Nando Strozzi, vecchio pugile anni Trenta. Carlo va all’angolo quando i suoi ragazzi combattono.
Augusta inizia a seguire i figli così come aveva fatto con il marito e la sofferenza è ancora maggiore. Si sente la prima tifosa di Carlo, dei figli rimane la mamma. Massimiliano, detto Momo, è un massimo leggero e sul ring, anche quando non è così, lei lo vede sempre più piccolo dell’avversario. Con i tre Duran di famiglia, Augusta è a bordo ring complessivamente in 24 titoli nazionali, 33 europei e 11 mondiali.
Quando muore Carlo, è dura anche dal punto di vista sportivo per i due eredi.
Nel 1990 Momo è diventato campione del mondo, togliendo a Capo d’Orlando la cintura al forte portoricano Carlos de Leon. Mantiene il titolo a dicembre con Anaclet Wamba, ma lo perde sette mesi dopo la scomparsa del padre. Non se lo riprenderà più. Fa in tempo a diventare campione europeo nel 1994, ma smetterà presto, a 31 anni dopo solo 25 incontri in carriera.
Alessandro, oggi apprezzata voce tecnica su Dazn, torna sul ring 44 giorni dopo il lutto. A Roseto degli Abruzzi sconfigge Faical Naifer. Combatterà ancora tanti anni, meritandosi la soddisfazione di diventare campione mondiale welter della sigla Wbu, oggi scomparsa.
A 80 anni compiuti, la fiamma del pugilato arde ancora nel cuore della signora Augusta. Non di rado la si vede nella palestra di Ferrara a dare un’occhiata ai giovani pugili allenati dai figli.