Il Foglio sportivo

Pablito e Vendrame sotto il cielo di Casarsa

Gino Cervi

Quando un’amichevole unì tutti gli eroi del Lanerossi Vicenza. Il primo maggio 1981, Paolo Rossi scese in campo con Ezio Vendrame e il meglio della storia biancorossa. Un grande terzo tempo

Nel pomeriggio del 1° maggio 1981, un martedì, sul cielo di Casarsa delle Delizia si stava per scatenare un temporale, uno di quei temporali friulani in cui le nuvole sembrano correre dalle montagne al piano come grandi vele grigionere. Sul campo sportivo comunale, oltre lo scalo ferroviario, lo scatenarsi della pioggia sembrava una questione di attimi. Peccato, perché sulle tribune e intorno al campo c’erano quasi tremila spettatori, un evento mai visto da queste parti. 

 

Due giocatori con la maglia rossa e con una R bianca ricamata sul petto a sinistra stavano per entrare in campo. Giorgio, gli occhi al cielo, disse a Ezio: “Mi sa che oggi ce la prendiamo tutta”. Ezio lo tranquillizò: “Non ti preoccupave. Non scendevà neanche una goccia”. 

 

Giorgio è Giorgio Carrera e quella partita, quasi quarant’anni dopo, la racconta partendo da qui, da quelle battute scambiate a bordo campo con Ezio Vendrame, di cui sa imitare bene la “erre” blesa, anzi la “evve”. 

 

Facevano entrambi parte del “Real Vicenza” che quel giorno, in un’amichevole di beneficenza – la seconda di una mini-tournée di quel ponte tra 25 aprile e 1° maggio dopo quella disputata pochi giorni prima a Oderzo – scendeva in campo contro la SAS Casarsa, dove SAS sta per Società Artistico Sportiva. 

   

Foto tratta da "il gazzettino" (maggio 1981), rielaborata da Alessandro Lancellotti
    

A organizzare l’appuntamento era stato proprio il casarsese Ezio Vendrame. Nel 1981 Ezio è al termine della sua carriera professionistica, anzi il calcio professionistico se lo è già lasciato alle spalle da un paio d’anni, da quando è tornato a giocare a casa sua, a Casarsa, dopo aver deliziato per una decina d’anni gli intenditori di calcio e, al contempo, dissipato il proprio sterminato talento in un altalena di squadre: Spal e Torres, Siena e Rovereto, quindi Napoli, Padova, Audace S. Michele Extra, Pordenone, ma soprattutto, i tre anni, dal 1971 al 1974, con la maglia del Lanerossi Vicenza. È al Romeo Menti che nasce la leggenda del genio e sregolatezza di Ezio Vendrame, che s’innamora del gioco e non del risultato, che impazzisce per (e fa impazzire con) il dribbling ma che disdegna il gol, che fa un tunnel a Rivera e poi gli chiede scusa, che a centrocampo sale con tutti e due i piedi sul pallone, mano tesa sulla fronte a scrutare l’orizzonte del gioco. Croce e delizia di squadre e allenatori, irrequieto e ingovernabile purosangue del calcio italiano anni Settanta, amatissimo dai compagni, Vendrame ha convinto alcuni suoi amici a venire a giocare un’amichevole a Casarsa: l’incasso verrà interamente devoluto in beneficenza,  in favore dell’istituto “La Nostra Famiglia” di S. Vito al Tagliamento. 

 

Ezio peraltro non può giocare in quei mesi nessuna partita ufficiale: è fuori da settimane per squalifica. Come andò lo racconta Ettore Colussi, casarsese, amico di Ezio, una promettente carriera stroncata anni prima da un brutto infortunio al ginocchio e, in quel 1981, dirigente del SAS Casarsa: “Quando si metteva a giocare Ezio era davvero di un’altra categoria. Per fermarlo i difensori dovevano ricorrere spesso ai falli: in una di queste partite, abbattuto per l’ennesima volta, Vendrame esasperato s’inginocchia e, platealmente, invoca l’intervento dell’arbitro. Risultato: ammonizione. A quel punto Ezio perde la pazienza: toglie di mano all’arbitro cartellino e fischietto e li scaglia via. L’arbitro, nel referto, esagerò, dicendo di essere stato aggredito e immobilizzato dal giocatore. Non era vero niente. Al punto che la società fece ricorso. Ma quando Vendrame, convocato a Roma, comparve al cospetto della commissione arbitrale si sentì preso in giro e reagì come faceva lui: andandosene nel bel mezzo dell’udienza. Il verdetto fu pesantissimo: squalifica a vita.

 

In quel pomeriggio di maggio, però, Ezio Vendrame non era l’unico squalificato. Anzi, a dire il vero, ad attirare tutti quegli spettatori intorno al campo era un altro “illustre” sospeso dall’attività agonistica. Tra le fila del Real Vicenza c’era infatti anche Paolo Rossi, colpito un anno prima dalla sentenza del Calcioscommesse (due anni di squalifica). Passato dal Perugia alla Juventus, poteva solamente allenarsi, senza disputare alcuna partita vera. Per fedeltà e amicizia al gruppo degli ex compagni del Lanerossi accettò di partecipare a questa esibizione di beneficenza. Di quella fantastica compagine che tra il 1976 e il 1978, sotto la guida paterna e illuminata di Gibì Fabbri, vinse il campionato di serie B e, promossa nella massima divisione, ottenne – anche ai gol a grappoli segnati da quell’esile e fulmineo centravanti – il miglior risultato della sua storia calcistica, il 2° posto alle spalle della Juventus, a Casarsa scesero in campo il capitano, Renato Faloppa; il portiere, Ernesto Galli; la mente del centrocampo, Giancarlo Salvi; il libero – di ruolo e di spirito – Giorgio Carrera. C’era anche il brasiliano Sidney Colônia Cunha, meglio noto come Chinesinho, che col Lanerossi giocò quattro stagioni, dal 1968-al 1972 – una delle quali compagno di squadra di Vendrame – e, per una breve parentesi, nella primavera del 1976 sedette come allenatore sulla panchina dei biancorossi. Solo la fraterna amicizia con Vendrame e con Faloppa, suo compaesano di Oderzo, fece vestire la maglia del Lanerossi a Gianfranco Zigoni, altro “cavallo pazzo” che negli anni Settanta era stato invece una bandiera degli acerrimi rivali dell’Hellas Verona. Pare che a bordo campo, mischiato tra la folla e senza incombenze alcuna di cronista, ma per semplice amicizia ci fosse anche Gianni Mura, legato a Casarsa e al Friuli da ben più di un motivo. 

 

I ricordi di quel pomeriggio si mescolano nelle voci di Ettore Colussi e di Giorgio Carrera. Entrambi non ricordano il risultato finale di quel giorno di scampato temporale (e chi se ne importa), ma non dimenticano il fantasmagorico “terzo tempo” in osteria, con Vendrame e Zigoni a tenere banco. A tutti e due s’incrinano le voci nel ricordare chi c’era e chi non c’è più: per Carrera, Ernesto Galli, l’amico di una vita (e di interminabili partite a carte), vittima del Covid a fine novembre; per Colussi, Ezio Vendrame che, poco prima di morire, gli portò tutti gli LP di Piero Ciampi dicendogli “Vecio, tienili da conto!”; entrambi si portano nel cuore la faccia da ragazzo perbene e sorridente di Pablito. Esattamente un anno dopo, il 2 maggio 1982, Paolo Rossi sarebbe tornato a giocare una partita vera, e ancora in Friuli, Udinese-Juventus 1-5, segnando il gol del 1-3. Ma si sarebbero dovuti aspettare altri due mesi, e per l’esattezza il 5 luglio prima che Paolo Rossi, come una primula azzurra dopo un temporale friulano, tornasse a essere Paolo Rossi. E lo restasse per sempre nei nostri cuori calciatori. Come Ernesto, come Gianni, come Ezio.

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