Grosso, disumano e imperturbabile, il norvegese Haaland è il nuovo prototipo del calciatore-robot di domani
Le quattro stagioni di Erling Braut Haaland, nell’anno più tormentato e pensieroso delle nostre vite. Inverno: è onnipotente, l’antropomorfizzazione non già di Thor ma direttamente del suo martello che percuote le difese più munite e celebrate d’Europa. Negli ottavi di Champions segna una doppietta al PSG e in particolare il secondo gol sembra venire from outer space come gli alieni di un film di Ed Wood, goffi sgraziati e cartooneschi, palesemente farlocchi. Ma lui è vero; e il rumore della rete violentissimamente percossa dalla palla di cannone partita dal suo piede sinistro mette a disagio come un cielo di nuvole nere, certo non provoca gioia, fa pensare con preoccupazione a cosa potrebbe essere capace di fare questo ragazzo. Prima ancora, nel primo tempo, aveva inghiottito uno spazio di circa sessanta metri in 6 secondi e 64 centesimi, e il giallo-nero della sua divisa aveva fatto pensare a uno staffettista giamaicano. Per di più uno scatto a vuoto, perché il compagno Sancho aveva preferito la soluzione personale, sfidandone la collera.
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