L'uomo che disegnava i gol. Carmelo Silva era lo YouTube del calcio prima della tv
Venticinque anni fa, il 16 gennaio 1996, moriva a Treviglio, provincia di Bergamo, dove aveva sempre vissuto, Carmelo Silva. Ora, a molti questo nome dirà poco. Soprattutto alle giovani generazioni calciofile digitali, abituate a servirsi di quella sterminata biblioteca di immagini e filmati che è ormai i web. Ma a quelli come me, cresciuti a pane, Gazzetta e Almanacco illustrato del calcio, Carmelo Silva, anzi “Silva”, come semplicemente si firmava, era lo “YouTube del gol”, ma lui non lo sapeva.
Quello che ora si trova mettendo nel motore di ricerca di Google, o appunto di YouTube, “nome di giocatore” + “gol” + “nome della partita” - e fa partire una pesca a strascico nella Rete che tira su di tutto, da Platini a Maradona, da Van Basten a Zidane, da Kakà a Milito, fino ai goleador contemporanei, prolifici o estemporanei – fino a vent’anni fa era impensabile. A suo modo però ci aveva pensato Carmelo Silva che, fin dagli anni Trenta – Silva era del 1909 – aveva inventato la “disegnata”.
Carta, pennino e colori, Silva “disegnava” i gol. Prima che arrivasse la TV, quando i gol, a meno che di non essere allo stadio, si ascoltavano solo alla radio e si leggevano, il giorno dopo, sul giornale, Silva aveva inventato una sua personalissima “sacra rappresentazione” del gol, il momento più alto della liturgia calcistica. Silva con pochi essenziali tratti e in un’efficacissima raffigurazione sinottica la sequenza delle azioni che conducono alla conclusione a rete. Stilizzate silhouttes, dinamiche posture, linee tratteggiate di corse, passaggi e tiri, lettere dell’alfabeto a indicare la progressione del gioco, la geometrica porta coi pali e con la rete, la grazia del lettering dei nomi dei calciatori inquadrati nelle etichette: la “disegnata” era, tutte le volte, un’emozione quasi in diretta. Anche se quel gol lo avevamo visto e rivisto, per noi cultori dell’istante magico, ogni volta sembrava nuovo, ed era un attimo sentirsi a bordo campo, anzi di più, dentro il campo, insieme a Gino Colaussi e a Benito Lorenzi, a Garrincha e a Gigi Riva, da Zico a Gullit.
C’era spazio, nella geniale fantasia di Silva, anche per l’intepretazione psicologica di quelle frenetiche miniature: ecco allora tre trattini sulla testa del portiere battuto a enfatizzarne la costernazione; il disorientamento del difensore superato in dribbling simboleggiato da un piccolo turbine intorno al capo; l’esultanza dei compagni ad accompagnare il pallone che entra in rete e via di questo passo…
Carmelo Silva aveva studiato disegno alla scuola dell’Accademia Carrara e, già da ragazzo, si era cimentato in disegni e caricature per giornali locali, fino ad approdare poi su settimanali di settore, da “Il Calcio Illustrato” a “Il Guerin Sportivo”, e su importanti quotidiani: “La Notte”, “Il Corriere della Sera” e, dal 1982 “La Gazzetta dello Sport” fino a un paio d’anni prima della sua scomparsa. Dal 1939 al 1993 ha disegnato per l’Almanacco illustrato del calcio della Panini. Aveva iniziato traducendo in immagini le parole dei cronisti; poi era diventato lui stesso cronista di immagini, assistendo in prima persona ad alcuni incontri, e prendendo rapidamente appunti (anche se, paradossalmente, assistendo in diretta all’evento, non hai mai la certezza che l’azione di cui stai annotando i movimenti degli interpreti porterà a un gol), che poi, a mente fredda, si sarebbero tradotti nelle celebri “disegnate”. Tecnica, colpo d’occhio e un’interpretazione quasi artistica del gesto calcistico, facevano il resto.
Ildo Serantoni, decano dello giornalismo sportivo bergamasco, che lo ha conosciuto negli anni passati insieme alla redazione della “Gazzetta”, lo ricorda così: "Carmelo arrivava in treno da Treviglio, verso metà mattina. Scendeva a Porta Garibaldi e poi a piedi fino in via Solferino. In redazione non aveva una scrivania: a seconda di chi quel giorno era di riposo, chiedeva volta per volta chi quel giorno fosse di riposo e avesse lasciato un tavolo libero, quindi prendeva posto, tirando fuori dalla borsa, uno alla volta, carta millimetrata, pennini, boccettino dell’inchiostro e poi acquerelli. Lavorava in quegli anni 'su ordinazione': alla fine della riunione di redazione, il capo-redattore gli affidava la “disegnata” del giorno. E lui si metteva al lavoro. Alla fine della giornata, verso le 17, chiudeva baracca e riprendeva il treno. Questo fino agli inizi degli anni Novanta, quando ormai era intorno agli 85 anni. Gli volevamo tutti bene, anche se lui non si concedeva mica tanto. Era burbero e di poche parole. Quelle poche che si sentivano, ogni tanto, erano dei poderosi sacramenti in bergamasco quando accidentalmente una boccetta di inchiostro gli si rovesciava sulla tavola che stava disegnando. Una volta capitò che, sul treno del ritorno verso casa, Carmelo di addormentò e saltò la stazione di Treviglio. Si risvegliò a Brescia e, sempre probabilmente sacramentando, riprese il primo treno che ritornava indietro, ma non fece caso che era un diretto per Milano. Dopo due ore, si ritrovò in Stazione Centrale e solo dopo un lungo peregrinare ferroviario arrivò a Treviglio che era quasi notte. Anche se stava sempre appartato, la sua presenza, il suo bell’aspetto dai capelli candidi, si avvertiva con piacere in redazione. Quando smise di venire, tutti ne sentimmo la mancanza".
Queste invece sono le parole di Candido Cannavò, che il 17 gennaio del 1996 salutava così la sua scomparsa: "La grandezza di Silva si è misurata coll'incedere del tempo e i cingoli del progresso. L'avvento della televisione lo ha reso di certo meno attuale, ha tolto emotività alle sue scene, ma non lo ha travolto. I buoni disegni del calcio sono rimasti di moda anche nell'epoca delle moviole. E per avere un buon disegno bisognava rivolgersi a lui. Unico, inimitabile. Noi abbiamo l'orgoglio di averlo fatto sino ai limiti estremi, prendendoci le ultime arrabbiature e soffrendo per i tremori della sua mano. Poi, un giorno è scomparso senza dir nulla. La matita si è spezzata".
C’è un motivo in più per ricordarsi di Carmelo Silva. Un altro celebre trevigliese, Ermanno Olmi, nel 1978 gli disse che gli sarebbe piaciuto che fosse lui a interpretare il personaggio del prete nel suo Albero degli zoccoli. Silva gli rispose, tra lo stupito e il brusco: "Ermanno, ma io sono ateo!", mettendoci forse in mezzo anche un "Pota!". Olmi sorrise e lo rassicurò: "Andrai benissimo".
Fu così che nella prima scena del film, dopo la sequenza di campi della Bassa bergamasca, tra filari di gelsi e ontani, rogge di risorgiva, campi di meliga e grandi cascine porticate, appare Carmelo-don Carlo, un bel prevosto dai capelli bianchi e gli occhialini a pince-nez. Rivolgendosi a Batistì, il contadino protagonista, si raccomanda di assecondare la volontà di Dio: Mènec, il piccolo bimbo di Batistì, è sveglio e intelligente e merita di andare a scuola, anche se la famiglia è povera e avrebbe bisogno di due braccia che lavorano. Carmelo-don Carlo ammonisce: "Se el Signù g’ha dà l’inteligensa al tò s-cét, l’è sègn ch’el pretend pussée de lu che de óter. E tì che te sé so pader, te ghè el duèr de secundà la vuluntà del Signù" (Se il Signore ha dato l’intelligenza al tuo bambino, è segno che pretende più da lui che dagli altri. E tu che sei suo padre hai il dover di assecondare la volontà del Signore).
Più o meno, Menèc, aveva l’età in cui io passavo il tempo a sfogliare l’Almanacco illustrato del calcio, la mia Bibbia, fermandomi più di tutto sulle pagine delle disegnate di Silva che mi raccontavano i gol di Rivera e di Chiarugi, Benetti e Bigon. Diciamo che anch’io provavo ad assecondare certe volontà soprannaturali (che non sempre, però, ahimè, si avveravano).
Il Foglio sportivo