Non tutti sanno che Atlante, il gigante perennemente raffigurato mentre regge sulle spalle l’intera volta celeste, era molto probabilmente nero. Per l’esattezza un re nero, il re della Mauritania, oggi al limite dell’Africa sub-sahariana. Atlante fu punito da Zeus per aver guidato l’insubordinazione dei Titani e perciò condannato all’infinita sofferenza; per giunta, fu clamorosamente gabbato da Ercole che si servì di lui per sbrigare la penultima delle sue dodici fatiche. Un capolavoro di astuzia: Ercole doveva consegnare a Euristeo, re di Micene, tre pomi d’oro da cogliere nell’inaccessibile giardino delle Esperidi, le ninfe figlie di Atlante. Costui – appunto – era sempre lì che reggeva la volta celeste, e cercò di ingannarlo, offrendosi volontario per cogliere i pomi. Tornò con i pomi, ma a quel punto comunicò a Ercole che non era più disposto a sottostare al suo millenario supplizio: “Io ho già dato, adesso questo peso te lo smazzi tu”. Ma Ercole l’era minga un pirla: finse di accettare, ma al momento dello scambio chiese un semplice cuscino per rendere più sostenibile il peso del firmamento. “Me lo reggi un attimo tu?”. Atlante abboccò: non appena si riprese in mano il cielo appoggiando i pomi per terra, Ercole glieli soffiò e scappò via, lasciandolo con un palmo di naso e con il cielo sulle spalle per l’eternità.
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