Il loro aspetto è cambiato dall’ultima volta. Qualcuno ha gli zigomi più marcati, altri hanno il viso appesantito da un paio di borse viola, c’è addirittura chi ha iniziato a stempiarsi. Sono invecchiati. Tutti quanti. Mutamenti che colpiscono l’occhio e accartocciano la fronte in un’espressione dubbiosa. Perché la speranza è una sola. Ossia che la differenza fra quello che sono stati e quello che sono adesso non sia poi così marcata. Negli ultimi anni la Serie A è diventata una terra di ritorno. Per chi se n’era andato coperto di gloria. Per chi quel lustro era andato a cercarlo altrove. Non c’è società che non abbia guardato al passato per costruire il proprio futuro, non c’è direttore sportivo che non abbia riportato in Italia qualche expat del pallone. Un loop dove ieri diventa eternamente oggi, dove la speranza di poter rigenerare un calciatore avanza sospesa sul baratro dell’utopia, dove si chiede aiuto al fantasma del Natale passato perché quello presente non è poi così esaltante. Il peccato originale è datato anno del Signore 2010. Un mercato da pane e cipolle consegna alla Roma di Claudio Ranieri Adriano, fu fenomeno che l’Inter aveva sbolognato al Flamengo. Quello che si presenta nella capitale è un attaccante pingue e con i muscoli che sferragliano per il campo. L’ostensione del brasiliano va in scena in un Flaminio gremito.
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