L’Italia s’è desta. Il Tricolore e l’inno di Mameli sono salvi. Ma dov’è la vittoria? Già, dove sta la vittoria se ancora non possiamo dire con certezza se a Tokyo si gareggerà davvero? La vittoria sta nel sorriso ritrovato del presidente del Coni, Giovanni Malagò, e nelle parole del presidente del Cio, Thomas Bach, che, informato della svolta, ha commentato: “Sono molto felice”. Per l’Italia, ma anche per il Cio che aveva già pronto un documento in cui il nostro paese sarebbe stato paragonato alla Bielorussia di Lukashenko e privato di bandiera e inno ai Giochi giapponesi. Il fatto è che il nostro governo aveva preso sotto gamba ogni avvertimento. Conte non aveva mai risposto alle lettere di Bach, il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ipotizzava al massimo un’ammonizione da parte del Cio. Quando si è capito che a Losanna era già stato scritto un documento che ci avrebbe tolto inno e bandiera, c’era ormai solo una via d’uscita. Un decreto legge in extremis, l’ultimo atto del Consiglio dei ministri, prima di che Conte salisse al Colle. Possiamo dire che prima di uscire si è ricordato di spegnere la luce per evitare di far salire la bolletta: inno e bandiera a parte, in gioco c’erano anche i 925 milioni di dollari stanziati dal Cio per Milano-Cortina. Insomma il guaio sarebbe stato grosso.
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