il foglio sportivo
Avere fiducia nel rugby
Le sconfitte azzurre nel Sei Nazioni e il futuro che è già iniziato. Donne, giovani e priorità per ripartire. Parla il presidente della Fir Alfredo Gavazzi
Un pallone ovale rimbalza a suo modo. Non è prevedibile, sebbene una certa prevedibilità a usar con perizia la fisica la si potrebbe pure trovare. Inganna. Il rugby è un grande inganno. “Lo capisci dal pallone, dai giocatori, dalla violenza. Non è quello che appare. Il pallone sembra infido, eppure è amico, sottobraccio sta che è una meraviglia. I giocatori sembrano orchi, ma hanno una loro rettitudine. La violenza è solo apparente, se ci si fa male è sfortuna: nessuno è disposto a far male”, o almeno per Wilson Whineray, neozelandese, trenta volte capitano degli All Blacks tra il 1958 e il 1965.
Non tutto nel rugby è come sembra sebbene sia uno sport che non mente: il più forte vince, il risultato a sorpresa può capitare, ma è una sorpresa legata a preparazione, compattezza, solidità o a un’idea di squadra. L’Italia nel rugby non è la più forte, per questo perde. Al Sei Nazioni la nostra Nazionale non riesce a conquistare una vittoria dal 28 febbraio 2015: a Edimburgo contro la Scozia finì 19-22. Sei anni senza una vittoria nel Sei Nazioni sono un’eternità. Sembrerebbe l’evidenza di un fallimento totale del rugby italiano, suggellato dalla discesa al quattordicesimo posto nel ranking mondiale. Ma il pallone ovale rimbalza in modo ingannevole. E non sempre quello che sembra irreparabile lo è davvero.
Sotto la cenere di una Nazionale che sapeva evitare il Whitewash, ossia il perdere tutte le partite della massima competizione europea, la brace rugbistica italiana non si è spenta. La formazione femminile riesce a togliersi soddisfazioni, le squadre giovanili sono competitive e la compagine azzurra maschile riesce a giocarsela con tutte le altre nazioni che non siano l’èlite del rugby mondiale.
“La situazione potrebbe essere migliore, può sempre esserlo. Ma siamo sicuri che dal 2012 a oggi siamo complessivamente peggiorati? Secondo me no”, dice al Foglio sportivo il presidente della Federazione italiana rugby (Fir) Alfredo Gavazzi, che alle elezioni federali del 13 marzo correrà per il terzo mandato. “Certo negli ultimi anni ci sono mancati i buoni risultati della Nazionale maggiore, ma le nostre ragazze sono al settimo posto al mondo, nove anni fa non riuscivamo a competere con le altre nazioni. L’Under 20 è costantemente nel gruppo 1 del ranking mondiale. Non era così fino a qualche tempo fa”.
Di errori ne sono stati commessi, come aver puntato per troppi anni sulla naturalizzazione di giocatori argentini. Gavazzi non nasconde i problemi, “ci sono, inutile ignorarli. Abbiamo avuto sconfitte importanti dopo un periodo di lustro della nostra Nazionale, legato anche a una generazione di rugbisti incredibili come Paolo Vaccari, Massimo Giovannelli, Diego Dominguez, Alessandro Troncon. Poi sono arrivati Martín Castrogiovanni, i Bergamasco, Sergio Parisse. Abbiamo avuto un momento nel quale non siamo riusciti a produrre campioni alla loro altezza. Dobbiamo crescere per giocarcela con i migliori. Ma la crescita della Nazionale seniores passa dalla crescita degli juniores e a livello giovanile il rugby non si è estinto, anzi. Abbiamo migliorato la base, che si è allargata. Il ricambio generazionale è già iniziato, siamo ripartiti da un gruppo di giovani con pochi test alle spalle”.
La bolla d’entusiasmo che aveva avvolto il rugby dopo l’ingresso nel Sei Nazioni nel 2000, che aveva portato questo sport fuori dalla nicchia nella quale era sempre stato confinato sino ad allora, che aveva fatto arrivare sulle copertine di magazine e in televisione, addirittura trasformando i rugbisti in modelli di machismo, si è sgonfiata. Questo sgonfiamento però non ha cancellato il rugby. I tesserati sono cresciuti costantemente negli anni e rispetto alle prime partite del Sei Nazioni “nelle quali non si riusciva nemmeno a riempire il Flaminio, nello scorso febbraio la Nazionale ha richiamato 65 mila spettatori all’Olimpico. E questo in un paese che sportivamente gira quasi esclusivamente attorno al calcio, almeno per interesse mediatico”, precisa il presidente. Ci siamo forse convinti di essere all’altezza di Irlanda, Galles, Scozia, Inghilterra e Francia. Non era così. “D’altra parte la loro tradizione è ben diversa dalla nostra. Parlo di rugby, ma non solo di rugby”.
Perché c’è qualcosa di più profondo che traccia il solco tra noi e i nostri avversari nel Sei Nazioni. Qualcosa che si lega allo sport in generale e che si riflette poi soprattutto in quegli sport cosiddetti “minori”. “C’è una cultura sportiva diversa, una distanza abissale tra il modo nel quale trattiamo l’attività fisica. L’assenza quasi totale di questa nella scuola si riflette nella competitività sportiva del sistema Italia. Incentivare davvero lo sport a scuola potrebbe aiutare non solo noi, ma a tutto il paese”.
Gavazzi è stato mediano di mischia, pilone e tallonatore a Calvisano prima di iniziare il percorso federale. Il campo da rugby lo conosce e sa cos’è la prima linea. E la prima linea “ora è permettere a questo sport di ripartire. Il Covid-19 è stato un disastro, ha bloccato tutto, congelato la base. Al momento viviamo in un tempo sospeso nel quale ancora non sappiamo quando si potrà riprendere davvero. La Federazione ha l’obbligo di stare vicina alle società, cercare una strada per la sopravvivenza del sistema rugby sia sotto l’aspetto tecnico sia sotto quello finanziario. Perché questa pandemia ha indebolito anche le attività industriali e commerciali che hanno permesso al mondo sportivo di andare avanti. Il pil è diminuito, la produzione pure e chi prima sponsorizzava lo sport di base ora si fa due conti in tasca in più prima di continuare a farlo. La situazione è questa, da qui non si scappa. Mai come oggi servono risorse federali da ridistribuire”.
Pensare di uscire dal Sei Nazioni dopo i risultati degli ultimi anni, come a più di qualcuno è venuto in mente dopo le sconfitte della Nazionale, sarebbe un errore gravissimo. L’acquisizione del 14,3 per cento delle azioni di NewsCo, una sussidiaria di Rugby Six Nations Limited, da parte del fondo d’investimento CVC, significa “l’arrivo di nuove risorse da reinvestire nell’attività, permettendo un maggior sostegno delle società”.