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Setteperuno

Le sorelle d'Italia dello sport azzurro

Marco Pastonesi

Federica Brignone, Erica Magnaldi, Barbara Bonansea, la Nazionale di rugby femminile, Tamara Lunger. Vittorie, sogni e rivalse delle donne italiane

Sorelle d’Italia. Rimontano, affiancano, sorpassano. Sostengono, accompagnano, superano. Esempi ed emblemi. Modelli e anche modelle. Da tempo rappresentano il meglio di noi, intesi come Italia, adesso meglio lo sono anche nello sport, antico baluardo maschile e un po’ anche maschilista.

 

Federica Brignone, per esempio. Sci. Figlia d’arte: il papà, Daniele, maestro di sci, e la mamma, Ninna Quario, campionessa di sci. Ieri, nel SuperG in Val di Fassa, ha conquistato la sedicesima vittoria in Coppa del mondo ed eguagliato il primato di successi detenuto da Deborah Compagnoni. Federica è ancora più eclettica di Deborah: dallo slalom alla libera, sa fare tutto, e tutto bene. Ha trent’anni, saprà fare anche di più e di meglio. Nella cassaforte dei suoi trionfi, e dei suoi ricordi che non diventino anche rimpianti, a voler essere spietati si potrebbe dire che le manchino ori olimpici (finora un bronzo) e mondiali (finora un argento da grande e un argento da junior). La recente rassegna iridata di Cortina l’ha fatta arrabbiare: in una delle sue specialità, anzi, delle sue generalità, il neonato gigante parallelo, è stata sfavorita da un regolamento sbagliato, cioè ingiusto, per due piste non esattamente parallele, cioè non speculari. Ma Federica ha saputo scaricare la bile e ricaricare le pile, e la sua risposta l’ha data fra i pali. Giornata di gloria azzurra e femminile: quarta Irene Curtoni, quinta Francesca Marsaglia, sesta Marta Bassino. Brignone è super non solo in pista, ma sempre nella vita: con la campagna “Traiettorie liquide” (realizzato da Giulia e Daniela Mancini in collaborazione con il fotografo Giuseppe La Spada) si batte per la difesa dell’ambiente, e dopo essersi immersa in mare con tuta, scarponi e sci, fattasi quasi soffocare dalle buste di plastica in una piscina e raccolto rifiuti con i bambini, ha lanciato l’allarme contro lo scioglimento dei ghiacciai. “La situazione è drammatica sia per le temperature sempre più alte provocate dai gas serra sia per il darkening, cioè lo scurimento dovuto all’inquinamento industriale, alla fuliggine degli incendi, ai detriti, alle polveri e alla plastica, per cui riflettono meno le radiazioni del sole. Lo scatto di Giuseppe mi ritrae sul ghiacciaio dei Forni, bellissimo e struggente, con un abito bianco prodotto in materiale di scarto, un mantello tricolore e la Coppa del mondo issata dalla mia mano”. Una nuova statua della Libertà.

  

Erica Magnaldi, per esempio. Ciclismo. Ventotto anni, cuneese. Nessuna vittoria in Coppa del mondo, nessun metallo olimpico o iridato, ma sabato scorso la vittoria nel Trofeo Città di Ceriale, corsa di apertura del calendario nazionale su strada. Fuga, volata a due, vittoria. Ventotto anni, di Cuneo, aveva cominciato con lo sci: non discesa, ma saliscendi, il fondo. Fino alla partecipazione a una Universiade. Poi ancora saliscendi, ma in bici. E nel 2017 un’illuminazione, fra le amiche montagne, prima nella Maratona dles Dolomites, l’equivalente poetico ma non altimetrico della Maratona di New York, di corsa, però a pedali. Erica ha insistito, con il ciclismo e anche con l’università, finché si è laureata in Medicina, specialità Pediatria. Solo a quel punto ha deciso di concedersi qualche anno sabbatico, cioè ciclistico. Il Covid l’ha posta davanti a un bivio: “Ho l’abilitazione, è vero, ma non ho alcuna esperienza – ha spiegato a “Suiveur” -. Avrei avuto bisogno di colleghi accanto per sostenermi ed insegnarmi. Non era il momento: tutte le loro energie dovevano essere per i malati e non per insegnare qualcosa a me. Quando scenderò di sella non resterò nel ciclismo: andrò nelle corsie degli ospedali, farò il medico. Ci vuole solo del tempo. Ora sento di dovermi concentrare per sfruttare questa occasione, un’occasione che non capita a tutti: correre in bicicletta”.

   

Barbara Bonansea, per esempio. Calcio. Ventinove anni, cuneese anche lei, di Pinerolo, anagrafe, e Bricherasio, casa. Con la Juventus, ma anche prima con Torino e Brescia, titoli e gol a volontà. E la Nazionale. La scorsa settimana, dopo il 12-0 rifilato a Israele (con una sua doppietta), Barbara l’ha detto chiaro guardando avanti e in alto: “Il mio sogno è vincere gli Europei”, nel 2022, in Inghilterra. Lei cresciuta giocando in squadra con i maschi, lei giudicata e inserita fra le migliori undici calciatrici al mondo, lei che non molla gli studi universitari nonostante il professionismo sportivo ma non economico (le distanze dagli uomini sono siderali), lei che fa da testimone alla cultura del mangiare sano, che si prodiga negli ospedali e che durante la pandemia è “scesa in campo” per scaricare camion e distribuire forniture di mascherine, camici e guanti.

   

La Nazionale di rugby femminile, per esempio. Accolte con pregiudizi e ironia (ci sono nel calcio, figurarsi nel rugby), accettate con diffidenza e sospetto, oggi sostengono il mondo ovale italiano nei Sei Nazioni dopo le disfatte dei colleghi. In un’edizione riveduta e accorciata del torneo, le azzurre se la vedranno il 10 aprile con l’Inghilterra e il 17 aprile con la Francia. Onore, orgoglio, rispetto. Non è poco.

  

E Tamara Lunger, per esempio. Alpinismo. Trentaquattro anni, bolzanina, un mese sul K2, non in cima, ma non invano. A TGCOM24 ha confidato: “Ero così convinta di potercela fare e poi invece è iniziato l’incubo ed è stato come se la montagna mi stesse gridando in faccia: vattene via da qui”, “Tutta la via attrezzata cadeva a pezzi, tutti i fittoni venivano fuori, i chiodi pure, le corde che si consumavano, in pochissimo tempo. Ho veramente sentito una voce che mi diceva: no, non è il tuo posto, e mi ha fatto anche riflettere sulla possibilità che forse questo sarebbe stato il mio ultimo tentativo d’inverno”, fino alla morte di amici e colleghi, “Forse era destino che fossero proprio loro - purtroppo attraverso tutto questo dolore - a farmi capire che magari per me tutto questo adesso è il passato, che è ora di qualcosa di diverso, di voltare pagina”, “Ho bisogno di altro tempo per capire certe cose”. A chi lo dici.

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