il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
Gli dei diventati uomini
La settimana dell'addio alla Champions League di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo
Un tiro improvviso, una traiettoria impossibile, da cartone animato. Il pallone che si alza e poi si sposta, e a metà strada cambia ancora direzione, come colto da una folata di vento, infilandosi nell’angolo superiore della porta. Sembrava l’auspicio di una rimonta, il segno premonitore del ritorno in terra del deus Messi. Invece era soltanto un abbaglio, l’ultimo grande gesto di un calciatore divino a cui manca, ormai da troppo tempo, il miracolo. Lionel Messi lascia la coppa dove giocano i campioni, e si accomoda ai bordi del fiume a guardare se tutto scorra davvero come accadeva una volta. Ma l’acqua del fiume si è fatta torbida, e lo specchio della superficie riflette un uomo che ha perduto le fattezze di un dio (ammesso che un dio abbia una qualche fattezza). Con la faccia di uno che si è perduto nel traffico, Messi stupisce per il modo apparentemente inespressivo con cui si carica sulle spalle il peso di una responsabilità. E’ successo sempre con la Nazionale, spesso con il Barcellona. In mezzo la sua indiscutibile superiorità, la grandezza di un calciatore che quando lo guardi nelle serate di maggiore ispirazione non capisci davvero come faccia ad essere così bravo, il migliore di tutti i tempi. L’ammirazione nei suoi confronti contrasta però con il senso di sconfitta che trasmette la sua immagine. Siamo per questo all’assurdo. Il migliore, a cui non basta esserlo per trasmettere se non la forza, almeno l’idea del successo.
Nella settimana dell’addio dell’argentino, un altro semidio ha lasciato la coppa. Davanti ad una squadra troppo cieca per capire dove guardare, Cristiano Ronaldo, invece di farsi trovare, si è nascosto. Un comportamento anomalo per un maniaco della presenza, dell’apparenza, sempre pronto a mostrare il corpo nudo, gli addominali labirintici. L’Apollo juventino, il migliore dell’ultimo decennio dopo Messi, ha scelto l’eclissi, lui che è stato il dio del sole. Difficile comprenderne il motivo, che oltre ad essere tecnico – la Juventus è una squadra piuttosto sbagliata a centrocampo – deve per forza appartenere anche alla sfera emotiva. Troppe volte abbiamo visto il Re riprendere i suoi sudditi, con scatti d’ira che non possono appartenere ad un sovrano illuminato. Troppe volte lo abbiamo notato sottrarsi alla pratica di un’umile rincorsa, un contrasto, un gesto rivolto al prossimo piuttosto che a se stesso. Parlando proprio per il rispetto e l’ammirazione di un calciatore tanto grande, come è stato possibile per lui giocare in modo così piccolo? Non c’è risposta, crediamo, in tutto questo. Se non quella che un dio, nel calcio, se esiste, prima o poi diventa uomo.