Setteperuno
Sportivi XXXL. Uini Atonio e gli altri indisciplinati del cibo
In un mondo, e non solo quello dello sport, in cui si guarda la bilancia con la stessa attenzione con cui si pesa il portafoglio gli atleti sovradimensionati sdrammatizzano, rallegrano, umanizzano
Un metro e novantasei per 155 chili (fonte: Wikipedia), 145 (fonte: Eurosport), 142 (fonte: Vittorio Munari e Antonio Raimondi). Maglia bleu della nazionale di rugby francese, è chiamato “il pilone e mezzo”. Da solo, occupa un quarto della panchina o invade metà della prima linea. Il tallonatore, che gli gioca a fianco e che nelle mischie chiuse dovrebbe abbracciarlo, non ci riesce. L’avversario, che gli si pone davanti e contro, ha l’impressione di spingere una montagna. E pensare che da quando è stato convinto a dedicarsi allo sport che Oscar Wilde definiva come “una buona occasione per tenere trenta energumeni lontani dal centro della città”, ha perso – a seconda delle fonti – dai 25 ai 30 chili.
Uini Atonio, 31 anni, neozelandese naturalizzato francese, “galletto” (si fa per dire) numero 1.071 della storia, 37 presenze internazionali più l’attività nei club (gioca nella Rochelle), non è il più voluminoso né ingombrante dei rugbisti. Il primato, difficilmente superabile, appartiene al figiano Bill Cavubati, detto “Big Bill”, anche se il “Big” pare riduttivo: il suo peso oscillava sui 165 chili (ma adesso che è un ex, chissà quanto peserà). Nella storia della Nazionale francese, Atonio precede Romain Taofifénua, due metri per 133 chili, attualmente seconda linea di Tolone e dei Bleus, le cui origini risalgono alle isole Wallis e Futuna, tra Figi e Samoa. Ma a queste cifre, la compagnia s’ingrossa parecchio.
In un mondo, e non solo quello dello sport, in cui si guarda la bilancia con la stessa attenzione con cui si pesa il portafoglio, fra diete mediterranee e pacifiche e alimentazioni a zona o a pressing, fra regimi che portano all’anoressia e “marginal gains” plicometrici, le taglie XXXL sdrammatizzano, rallegrano, umanizzano. Tutto grasso che cola. Una questione un po’ di costituzione, sana e soprattutto robusta, un po’ di ereditarietà, l’appetito – si sa – vien mangiando, un po’ di mancanza di freni (anche sotto forma di pillole). Atonio, per esempio, nel suo piccolo (si fa per dire: e due) ha cominciato a trattenersi. Si racconta che a tavola non mangi più anche nel piatto di chi gli siede vicino. E se nei primi due tempi, in campo, vince, pareggia o perde, nel terzo tempo, a tavola, non teme rivali e vince sempre. Pare che i pericoli maggiori siano i barbecue con gli amici: meglio non immaginarli neanche.
Ogni disciplina vanta qualche indisciplinato nel mangiare & bere, gente destinata al chilo-metraggio illimitato. Il calcio tramanda la leggenda di Mario Fara, centrocampista negli anni Sessanta e Settanta, alessandrino e talentuoso come Gianni Rivera, però di buona forchetta, tanto da essere chiamato non Golden Boy ma Transatlantico o – a Bari – “u’ gress”. Il ciclismo lamenta lo spreco delle possibilità di Dario Pieri, passistone toscano fra gli anni Novanta e Duemila, secondo a un Fiandre e secondo a una Roubaix, eletto a “il Toro di Scandicci” per le dimensioni sovradimensionate rispetto a qualsiasi bicicletta.
Ma come dimenticare Trevor Misapeka: classe 1979, samoano di Pago Pago, nel 2001 (aveva 22 anni e pesava 133 chili), partecipò ai Mondiali di atletica a Edmonton, in Canada, non nel getto del peso, ma sui 100 metri. Si presentò alla partenza con una canottiera abbondante e le scarpe da tennis. Fermò il cronometro dopo 14”28. Inutile precisarlo: ultimo. Gioì: “Il mio record personale”. Poi aggiunse: “Mai corsi i 10 metri prima di oggi”. Spietatamente venne ribattezzato “Trevor la Tartaruga”.
E come dimenticare Konishiki Yasokichi, nato a Honolulu, alle Hawaii, ma di origini samoane, e abitante sui ring mondiali del sumo. Un metro e ottantaquattro, pesava la bellezza di 287 chili. Un titolare inamovibile. La sua dieta era tarata al contrario: seguace della teoria classificata come “chankonabe” (mangiare tutto quello che è a portata di vista e di mano), negli anni Ottanta e Novanta Konishiki è diventato il primo lottatore non giapponese a conquistare tre titoli del Grande Sumo e a raggiungere il grado di ozeki, il secondo livello più alto. Soprannomi guadagnati senza togliere nulla a nessuno: “Meat Bomb” (bomba di carne) e “Dump Truck” (autoribaltabile).
Al suo confronto, William Perry era un mingherlino. “Defensive tackle” nei Chicago Bears, football americano, un Super Bowl in carriera (nel 1986), era un metro e ottantotto per 152 di peso-forma molto in forma. Non a caso i tifosi lo avevano affettuosamente chiamato “il Frigorifero”, non si sa se per le dimensioni da parallelepipedo tipo elettrodomestico o per la facilità nello svuotare i ripiani. Smesso di giocare, Perry ha cominciato a mangiare e ingrassare, anche agonisticamente, nel Campionato mondiale degli hot dog. Sarà stata la fame di successi?
Un fine settimana di "altri sport"
Basket: campionato italiano, Venezia ferma Milano 69-63, la Virtus batte la Fortitudo 81-73 nel derby (Basket City) di Bologna.
Pallavolo: semifinali SuperLega, Perugia-Monza 1-0, Civitanova-Trentino 0-1.
Ciclismo: classiche del nord, la Gand-Wevelgem al belga Wout Van Aert davanti a tre italiani, Giacomo Nizzolo, Matteo Trentin e Sonny Colbrelli, e all’olandese Marianne Vos, quarta Elisa Balsamo e quinta Marta Bastianelli.