Donnarumma, è il momento di dire "resto"
Raiola tira la corda sull’ingaggio del portiere milanista. Certe cifre però oggi non sono più sostenibili
È arrivato il momento di un’uscita a pugni chiusi, uno di quei voli alla Superman con cui di solito spazza i pericoli dall’area di rigore come il supereroe dei fumetti traslocato a Hollywood fa con i cattivi. Gigio Donnarumma non può più aspettare. Saper scegliere l’attimo è fondamentale anche per chi gioca in porta. Deve andare a prendersi il pallone, a occupare la scena con le sue spalle larghe e le sue parole chiare. Ormai non è più un ragazzino, a 22 anni e con più di 200 presenze in Serie A, può, anzi deve, prendere il microfono e dire la sua. Non è sufficiente chiudere ogni post su Instagram con un #ForzaMilan. Non basta ricordare nelle rare interviste concesse che lui è sempre stato tifoso rossonero, che da bambino il suo idolo era Abbiati e il rossonero il suo colore. È arrivato il momento di dire al suo manager: “Lascia parlare me, lascia fare a me”. Un po’ come ha detto Hamilton ai suoi box quando lo hanno avvistato che Verstappen era ormai alle sue spalle. “Lasciate fare a me. Ci penso io”.
Per Gigio Donnarumma è arrivato il momento di camminare da solo. Di fare qualcosa di rivoluzionario nel mondo del calcio. Qualcosa che Sinisa Mihajlovic, uno con due attributi grossi come due caterpillar, ha fatto il 25 ottobre 2015 quando contro il Sassuolo ha buttato in campo un ragazzino di 16 anni e 8 mesi. Deve dire al suo famoso manager: “Caro Mino, lascia fare a me. Io sono milanista e 8 milioni di euro sono abbastanza per me, i miei figli, i miei nipoti e i loro figli… prendi quel contratto e fammelo firmare”. Basterebbero poche parole per entrare nella storia, per comprare quello che nessun contratto milionario potrà mai comprare: la stima del mondo intero. Sarebbe una rivoluzione. E rinunciando oggi a quei 2/3 milioni di euro in più che il suo manager sta tentando di arraffare, potrebbe diventare molto più ricco domani. E poi si eviterebbe di doversi inginocchiare all’interno della sua porta a raccogliere mazzette di banconote false, come ha già dovuto fare qualche anno fa a Cracovia, quando fu bersaglio di una prima contestazione da parte dei suoi tifosi.
Oggi non c’è persona al mondo (a parte Mino Raiola e qualche suo adepto) che possa ritenere inadeguato un contratto da 8 milioni di euro a stagione (bonus esclusi) per giocare a calcio. Anche se sei il miglior portiere del mondo. Anche se hai solo 22 anni, ma già più di 200 partite di Serie A alle spalle. Basta guardarsi attorno. Vedere come sta lo sport, capire come sta il mondo.
La fedeltà a una maglia oggi è merce rara come una dose di vaccino in certe regioni. Ma proprio per questo può trasformarsi in un bene prezioso. Se Gigio non ci crede provi a farsi una passeggiata nel bosco di Milanello con Paolo Maldini, dia un colpo di telefono a Beppe Bergomi, si guardi su Sky la fiction dedicata a Francesco Totti, organizzi una video call con Alex Del Piero. Rinunciare a qualche milione oggi, può renderti immediatamente un uomo più ricco dentro e allungare all’infinito le tue prospettive reddituali.
Sulla solitudine dei numeri 1, anche se oggi vestono con colori alla moda e non più solo in nero o in grigio, potremmo scrivere fiumi di parole anche senza essere i Jalisse. Gigio, però, dovrebbe approfittarne per isolarsi con la sua anima. Sedersi nei suoi pensieri e ascoltarli. Davvero varrebbe la pena stracciare una fede, buttare al macero montagne d’affetto per qualche milione di dollari in più? Perché non stiamo parlando di un’offerta offensiva o ridicola. Quella del Milan è un’offerta che sta al passo con il tempo che stiamo vivendo. Un periodo storico in cui anche la Formula 1 si è imposta un budget cap e sta seriamente prendendo in considerazione di mettere un salary cap anche allo stipendio dei piloti che pure rischiano la vita. Il calcio ne ha parlato, il presidente Gravina se ne è fatto promotore alla Fifa e all’Uefa, ma un anno dopo non si è mossa una mosca. Eppure, in un momento come questo, con gli stadi vuoti, con i bilanci in rosso, con i tifosi che fanno fatica ad arrivare a fine mese, sarebbe opportuno sedersi attorno a un tavolo e dare un taglio a certi ingaggi che davvero non hanno più senso. Siamo in un’epoca in cui il contratto quadriennale da 555.237.619 euro lordi tra Messi e il Barcellona non può più essere firmato. È vero che Messi non si presentò nella sede del Barça con una pistola per costringere la società catalana a firmarlo, ma oggi che gli incassi da stadio si sono azzerati, che il merchandising non rende più come prima, che i ditti tv non cresceranno più di tanto, è obbligatorio che il calcio diventi un’attività “sostenibile” come si usa tanto dire in tutti i campi. E un’attività diventa sostenibile quando riesce a chiudere i suoi bilanci con un segno più senza ricorrere ad alchimie contabili. Non avrebbe senso raccontarci che un tempo anche i campioni tra i campioni non incassavano certe cifre. Non è questo il punto. Oggi è il sistema calcio a raccontarci che non si può continuare a vivere con un costo del lavoro che in troppi casi supera anche il 70 per cento dei ricavi. Il calcio deve approfittare della crisi per cambiare pelle, tagliare i costi fissi, investire sulle infrastrutture, migliorare il rapporto con i tifosi. Non possiamo caricare tutto questo peso sulle spalle di Donnarumma, un portierone con il nome da simpatico topo. Ma quale sogno può essere più bello di diventare campione con la tua squadra del cuore? Se hai la fortuna di giocarci fin dalla prima partita tra i grandi e quella squadra sta per tornare a vincere come un tempo, lasciarla potrebbe essere davvero un gesto di cui poi ci si potrebbe pentire per tutta la vita. Anche se si trattasse di una vita da nababbi.