that win the best
Da venerato maestro a solito stronzo, lasciate stare Ibra
Non era simpatico prima e non lo è ora, ma farne il capro espiatorio di ogni male è una fesseria
Il problema è che a un certo punto abbiamo deciso di farne un esempio, ci abbiamo messo il carico da novanta del marketing assecondando la sua comunicazione da tamarro, venduto un prodotto che non esisteva
Che cosa ha fatto Zlatan Ibrahimovic di sbagliato, per cui da una settimana è diventato il capro espiatorio di ogni comportamento esecrabile? Che cosa ha fatto cambiare l’atteggiamento dei giornalisti, mutato in poco tempo dal leccaculismo idolatrico al sarcasmo bacchettone? In poco più di un anno l’attaccante svedese del Milan è passato da venerato maestro a solito stronzo attraversando tutte le sfumature intermedie: campione che si rimette in gioco, simpatico sbruffone, bullo con il cuore d’oro, sensibile padre di famiglia, vecchio saggio dello spogliatoio, volto rassicurante della campagna istituzionale contro il Covid, fuoriclasse che ancora fa la differenza nonostante l’età. Come spesso succede, i media lo hanno messo su un piedistallo che non gli apparteneva, essendo Ibra uno degli attaccanti più forti degli ultimi quindici anni e anche un antipatico bulletto con atteggiamenti inurbani che possono momentaneamente fare simpatia ma alla lunga rompono le palle. Il problema è che a un certo punto abbiamo deciso di farne un esempio, ci abbiamo messo il carico da novanta del marketing assecondando la sua comunicazione da tamarro, venduto un prodotto che non esisteva.
Fino a che il Milan era primo in classifica, poi, tutto questo serviva alla narrazione della rivelazione del campionato, i rossoneri giovani guidati dal vecchio campione che battono i dominatori dell’ultimo decennio della Juve e la squadra stellare dell’Inter. Una volta capito che il Milan non avrebbe vinto niente, ecco che l’Ibra vecchietto simpatico non serviva più al racconto. Annoiati all’ennesimo “a 39 anni Zlatan è ancora decisivo” i media hanno scelto di ingigantire ogni aspetto che non andava: da qui l’insistenza sul suo (improbabile) razzismo dopo la lite con Lukaku, l’accusa non solo di avere ucciso un leone dieci anni fa ed essersi “fatto spedire i resti a casa”, ma addirittura di avere violato la zona rossa facendosi aprire un ristorante, la richiesta di una punizione per la partecipazione a una società di scommesse maltese e il far notare con acido sarcasmo che “non è a Sanremo” ogni volta che in campo apre bocca. Sembra insomma che improvvisamente tutti si siano accorti che Ibra è brutto, sporco e cattivo, e non un Fedez che sa giocare a calcio. Un motivo in più per brindare a lui, oltretutto rappresentato dal procuratore più antipatico del momento, Mino Raiola. Il quale difficilmente risentirà di quella che i media annoiati hanno già deciso essere la prossima moda: la fine dei procuratori. Lo spunto per quest’ultima sentenza è il rinnovo del contratto di Kevin De Bruyne con il Manchester City: il centrocampista belga ha trattato con la società in prima persona e senza intermediari, aiutato solo da alcuni analisti che hanno dimostrato, dati alla mano, la sua centralità nel gioco della squadra di Guardiola e come i Citizens nei prossimi anni saranno uno dei club più forti al mondo. Bravo Kevin che ha strappato un contratto migliore, il dramma è che si debbano pagare degli analisti per sentirsi dire che De Bruyne è forte, Ibra è poco simpatico, le bionde sono meglio coi tacchi e le foglie sono verdi in estate.