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I “golpisti della Superlega” ci regalano un mondo da sballo

Pasquale Annicchino

La distruzione creativa del nuovo torneo è una preziosa botta di vita, soprattutto in un paese come il nostro dove ormai non si muove più nulla

Saremo sempre grati ai “golpisti della Superlega” che, in una fredda notte di fine aprile, hanno ribaltato il dibattito pubblico e ci hanno consentito di vivere almeno qualche ora di “calore, vita entusiasmo, esaltazione di tutta l’attività mentale, trasporto dell’individuo al di là di sé stesso”, che poi è il modo con cui nella sua opera sulle forme elementari della vita religiosa Durkheim definisce la fede. Sono scomparsi i virologi, si sono diradate le nubi del virus nella scommessa di una nuova forma di vita calcistica. Perché mentre politici e commentatori allineati, da destra a sinistra, intonano la litania del calcio tradito e dei valori mercificati si prospetta una scommessa sportiva, geopolitica ed economica. Per dirla con Blaise Pascal, la Super League non è che questo: una scommessa. Come con Dio, se scommetti sulla sua esistenza hai tanto o tutto da guadagnare. Se non ci sarà, non avrai nulla da perdere. Potrai tenerti Crotone-Inter di una noiosa domenica sera invece di far sognare milioni di giovani asiatici e di nuovi consumatori pronti a rimpinguare le casse dei club.

 

La distruzione creativa della Superlega è una preziosa botta di vita, soprattutto in un paese come il nostro dove ormai non si muove più nulla. Tra le argomentazioni che si rincorrono in queste ore confuse manca solo che qualcuno invochi la nazionalizzazione della Serie A o l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti. La Fifa ha pubblicato un comunicato con cui si disapprova “la nascita di un torneo al di fuori delle attuali strutture internazionali del calcio e che non rispetta i principi in cui crediamo”. E quali sarebbero questi principi, gentili signori della FIFA? Quelli delle migliaia di nepalesi, indiani e filippini sfruttati per la costruzione degli stadi per i mondiali in Qatar?

 

La Superlega non sarebbe un evento salvifico, ma probabilmente un nuovo capitolo nell’eterna lotta di denaro e potere che da sempre è anche parte della storia dello sport. Non desta simpatia nemmeno la possibilità di quindici super squadre immunizzate rispetto alla possibilità di retrocedere. Ma la discussione che si è aperta è aria fresca rispetto al grigiore di tanti campionati nazionali e dei relativi padroni. C’è un mondo nuovo che sogna di potersi identificare nelle gesta di nuovi campioni europei, di indossare le loro magliette, di guardare le loro partite da Pechino o da Singapore.

 

C’è poi Alessandro Di Battista che dall’Olimpo, tuonante, si scaglia contro il calcio mercificato: “Ad ogni modo ci domandiamo: Draghi parlerà o, come solitamente gli capita, eviterà di prender posizione davanti alla nuova aristocrazia del calcio? Staremo a vedere. Speriamo, almeno, che eviti frasi del tipo: “Andrea Agnelli sta diventando il “dittatore” del calcio italiano ma è un dittatore di cui abbiamo bisogno”. E il bello è che Draghi ha parlato affermando che: “Il Governo segue con attenzione il dibattito intorno progetto della Superlega calcio e sostiene con determinazione le posizioni delle autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport”. Lasciateci, per amor di patria, sedere dalla parte del torto e di Andrea Agnelli. Tutti gli altri posti sono già occupati.

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