Boris Johnson (foto EPA)

Perché BoJo è pronto a lanciare una “bomba legislativa” sui Big Six

Gregorio Sorgi

Il premier britannico si è da subito schierato contro la Superlega, e dalla parte del cittadino comune, perché gli è politicamente utile

Tutti i principali governi europei si sono schierati contro la Superlega. Ma nessuno si è esposto quanto il premier britannico Boris Johnson. Il leader dei Tory si è intestato una battaglia popolare – e secondo alcuni populista – promettendo ai tifosi britannici di fare morire il progetto sul nascere e di combattere i sei presidenti scissionisti, i cosiddetti “Big Six”. E il premier ha potuto dichiarare vittoria nel giro di poche ore.

Johnson dice di non essere né un tifoso né un appassionato di calcio. Ma essendo un abile politico, ha fiutato la rabbia degli appassionati e si è offerto come salvatore del mondo del calcio, usando la solita retorica arrembante. “E’ il vostro gioco – ha scritto in una lettera indirizzata ai tifosi sul Sun – e state certi che farò di tutto per dare un cartellino rosso a questo piano assurdo”. Ieri il premier ha incontrato i vertici della Premier League e della Football Association e, secondo fonti di Downing Street, avrebbe detto loro che il governo è pronto a sganciare una “bomba legislativa” per compromettere la Superlega. Nel suo intervento in Parlamento, il ministro della Cultura, Oliver Dowden, ha detto che farà “whatever it takes” per salvare il mondo del calcio, e ha proposto delle misure molto radicali come una tassa sui profitti dei grandi club, il taglio del numero di agenti di polizia presenti allo stadio e addirittura l’adozione del modello tedesco, in cui i tifosi possiedono delle quote delle società sportive e hanno una voce in capitolo nelle loro scelte. Con un tono vagamente intimidatorio, Dowden ha detto ai sei presidenti che sono solamente dei “custodi temporali del loro club”. 

 

Queste presunte limitazioni alla libertà di impresa hanno fatto storcere il naso a molti commentatori liberali che sono tra i pochi difensori del nuovo torneo, per ragioni  ideologiche. Come spiega al Foglio Matthew Lesh, capo della ricerca dell’Adam Smith Institute, un think tank ultra liberista,  “è bizzarro che il governo si sia immischiato in una disputa tra club e leghe. Ogni società dovrebbe essere libera di scegliere in quale campionato vuole participare, o non partecipare, e le leghe devono potere decidere il loro criterio di accesso”. Secondo Lash, la Superlega potrebbe rivelarsi un disastro o un successo, ma in entrambi i casi “queste sono faccende private che non richiedono l’intervento dello stato”. 

E’ un segno dei tempi che un governo conservatore preferisca stare dalla parte dei tifosi indignati, piuttosto che da quella dell’élite cosmopolita che pretende di fare fruttare il proprio investimento nel calcio. La Premier League, nata da una scissione dalla Football Association nel 1992, è una metafora della strategia economica britannica degli ultimi trent’anni, sviluppata soprattutto dai governi conservatori: investimenti dall’estero, apertura verso il mondo e la finanziarizzazione dell’azienda. Non è un caso che tra i padroni delle “Big Six” ci siano tre americani (Joel e Avram Glazer del Manchester United, John William Henry del Liverpool e Stan Kroenke dell’Arsenal), un russo (Roman Abramovich del Chelsea) e un emiro (lo sceicco Mansour bin Zayed al Nahyan del Manchester City) e solo un inglese, Joe Lewis del Tottenham. 

 

Il premier si è schierato contro i grandi investitori, e dalla parte del cittadino comune, perché gli è politicamente utile. La difesa delle tradizioni dell’inglese medio è uno dei perni della strategia johnsoniana, come ha ribadito lui stesso in questo dibattito a sfondo calcistico. “Questi club non sono solamente dei grandi marchi globali – ha detto il premier – ma hanno anche delle radici storiche nei paesi, nelle città e nelle comunità locali. Devono avere un legame con quei tifosi e con quella comunità”. Johnson ha vinto le elezioni del 2019 puntando sulla rabbia e il senso di abbandono degli elettori del nord, promettendo loro nuove opportunità. E anche qui c’entra il calcio. Una delle promesse elettorali dei Tory era di creare un “fondo per le comunità” per consentire ai tifosi di acquistare i club in crisi, oltre a dare loro la possibilità di esaminare ed esprimere un parere sull’acquirente della loro squadra. Potrebbe essere giunta l’ora di mettere in pratica queste idee.

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