tutti i volti della resa
Superlega, il valzer degli addii
Dalle scuse dell'Arsenal all'ostinazione della Juve, ormai 10 club su 12 si sono chiamati fuori ma con toni e messaggi ben diversi. Nella giungla dei comunicati
Salta tutto. È la frase più temuta del calcetto della domenica: deve far riflettere non poco, se si sposa benissimo anche per il golpe epocale vaticinato dai 12 top club scissionisti. Si chiamano fuori le sei inglesi, l’Atletico, poi Inter e Milan. Alla fine anche la Juve, nonostante le dichiarazioni bipolari di Andrea Agnelli – da “La Superlega è un patto di sangue” a “in sei non si può fare”, passando per il vaneggiante paragone con Call of duty, un videogioco sparatutto: altro che lamento di Portnoy.
Il lauto privé si riduce così a tavolino intimo, ironia della sorte, fra il Real Madrid dell’irriducibile Florentino Perez e gli eterni rivali del Barça – ma solo perché le decisioni in casa blaugrana dipendono sempre dall’assemblea dei delegati, come già ribadito dal presidente Laporta.
Insomma, rimane la palla di fieno che rotola nel deserto. Dalla sera alla mattina, tutto nel giro di 15 ore: tanto è trascorso dal primo forfait, quello del Manchester City, all’ultimo, quello dei bianconeri. Un comunicato ufficiale dietro l’altro, tutti allineati in superficie – “Facciamo un passo indietro” – ma con differenze anche sostanziali fra loro. Già nel blocco Premier League.
I Citizens e il Liverpool – all’inizio – si tengono sull’asciutto. Il Manchester United accenna “ad aver ascoltato attentamente le reazioni dei fan, del governo britannico e di altri stakeholder chiave”. Mentre Arsenal e Chelsea fanno inversione totale. “Abbiamo commesso un errore, e ci scusiamo per questo”, dichiarano i Gunners in una lunga lettera aperta. “Ci siamo resi conto”, concordano i Blues, “che prendere parte alla Superlega non sarebbe nell’interesse del nostro club, dei nostri tifosi e della più ampia comunità del calcio”. Altra musica in casa Tottenham: “Ci dispiace per l’angoscia e lo shock causate da questa proposta che noi invece ritenevamo importante”, dice a denti stretti il presidente Levy.
Da Londra a Madrid, il valzer degli addii continua: l’Atletico convoca un cda straordinario per “non formalizzare – quindi alla fine non erano nemmeno mai state 12? – la sua adesione a un progetto per cui oggi non sussistono le condizioni. La squadra e l’allenatore hanno mostrato la loro soddisfazione per la decisione del club, secondo cui i meriti sportivi devono contare più di qualsiasi altro criterio”. Nel frattempo a Liverpool, John Henry rincara la dose: “Voglio chiedere scusa a tutti”, interviene il numero uno dei Reds, “dai tifosi ai giocatori e a Klopp. È fuori discussione che il progetto non sarebbe mai andato avanti senza l’appoggio della nostra comunità. Sono il solo e unico responsabile di quanto accaduto: non me ne dimenticherò”. È la stoccata definitiva.
A quel punto è già mezzogiorno, quando arrivano quasi obbligati i primi segnali dall’Italia, temporeggiatrice storica. Con fare sibillino l’Inter rompe gli indugi: “L’innovazione e l’inclusione sono parte del nostro dna fin dalla nostra fondazione. Il nostro impegno con tutte le parti interessate per migliorare l’industria del calcio non cambierà mai”. Il Milan è incerto quanto una doppia avversativa: “Il cambiamento non è facile, ma l’evoluzione è necessaria per progredire […] ma la voce dei tifosi è stata chiara e forte e il nostro club deve rimanere sensibile e attento alla loro opinione”. La Juventus non rinnega: “Pur rimanendo convinta della fondatezza dei presupposti sportivi, commerciali e legali del progetto, ritiene che esso presenti allo stato attuale ridotte possibilità di essere portato a compimento nella forma in cui è stato inizialmente concepito”, niente di più simile al comunicato rilasciato dalla stessa Superlega questa notte.
Manca solo il Real Madrid. Ma forse il silenzio di Florentino – che ieri avrebbe dovuto parlare per primo: ancora lo aspettano a Cadena ser – vale più di tutte le formalità. Sipario. Se lo spettacolo vi è piaciuto, applaudite. Magari la prossima volta.