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Il Foglio sportivo

Verstappen, il rivoluzionario

Umberto Zapelloni

Vuole mettere fine alla dittatura di Hamilton in Formula 1.  Può farcela

Max non è più solo con la sua onda arancione. Non è più proprietà privata dei tifosi olandesi che in epoca pre Covid avevano cominciato a invadere e colorare gli autodromi per lui. Adesso a tifare Verstappen c’è un sacco di gente, stufa di veder vincere Hamilton e la Mercedes. I rivoluzionari hanno sempre riscosso simpatia. Quelli che sono riusciti ad abbattere una dittatura sono diventati pure degli eroi. A Max che dopo la vittoria di Imola, la sua prima in Italia, è diventato “mega” nei messaggi radio degli ingegneri Red Bull, di diventare un eroe frega nulla, anche se da bambino voleva sapere tutto dell’Uomo Ragno. Lui vuole solo diventare campione del mondo al settimo anno della sua carriera. Ormai non farà più in tempo a battere il record di precocità di Sebastian Vettel, campione a 23 anni, 4 mesi e 11 giorni. Ha compiuto 23 anni il 30 settembre. È in ritardo sulla tabella di marcia che lo aveva portato a diventare l’esordiente (a 17 anni 5 mesi e 15 giorni) e il vincitore più giovane (a 18 anni 7 mesi e 15 giorni) in più di 70 anni di storia del Mondiale. Interrompere il dominio Mercedes lo farebbe entrare comunque nella storia. A maggio, intanto, un po’ prematuramente esce una prima biografia. Dai pannolini al podio.

 

 

È stato programmato per questo da due genitori che facevano i piloti e si erano conosciuti in pista. Per fortuna ha preso da mamma Sophie che sui kart ci sapeva davvero fare. È stata una delle migliori della sua generazione e non solo del Belgio. Papà Jos in Formula 1 ha corso dal 1994 al 2003, 107 gare, miglior piazzamento due terzi posti. È stato compagno di Michael Schumacher alla Benetton, rischiando anche di andare a fuoco durante un rifornimento a Hockenheim nel 1994. Non ha lasciato il segno. Però insieme alla moglie, con cui ai tempi andava ancora d’amore e d’accordo, ha deciso di programmare Max che a scuola era bravo solo in educazione fisica e ha sempre studiato soltanto per diventare pilota. Mamma e papà si sono costruiti il campione in provetta. Lo hanno messo su un kart ancora prima che cominciasse a camminare e poi lo hanno accompagnato in tutta la trafila delle serie minori fino al salto triplo che a 17 anni lo ha portato alla Toro Rosso direttamente dalla Formula 3. Helmut Marko quando lo ha visto guidare sul bagnato ha detto: da qui non si muove più e Max è diventato uomo Red Bull dopo che papà aveva provato senza successo a farlo entrare nella Ferrari Academy.

 

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Oggi guida finalmente la macchina giusta per provare a vincere il Mondiale. Gli mancava solo quella. Perché la faccia, il carattere, la grinta e il talento ce li ha da tempo. Quando uno si permette di dire a Hamilton che “il 90 per cento dei piloti in griglia potrebbe vincere con quella macchina. Lui è un grande pilota, ma la sua auto è dominante. È sicuramente uno dei migliori là fuori ma non è Dio. Forse Dio è con lui, ma non è Dio”, significa che è programmato per fare male. Ha la strafottenza dei giovani, ma è giovane solo per l’anagrafe. Vederlo chiacchierare con Mick Schumacher fa una certa impressione. Sono quasi coetanei (Mick è del 1999), ma lui ha già corso 119 Gran premi in più. Se per la Formula 1 il predestinato è Leclerc, lui che può essere?

 

“Non bisogna ignorare tutto ciò che Hamilton ha raggiunto, ma lui ha una buona macchina, mentre Max deve sempre estrarre di più dalla sua. Lo si può vedere dal fatto che un pilota della Williams si è qualificato direttamente in prima fila e ha quasi vinto la gara. Se qualcuno dovesse salire sulla monoposto di Max nel caso in cui lui avesse contratto il coronavirus non raggiungerebbe mai il suo livello di prestazioni”, ha detto Chris Horner lo scorso anno. Fiducia massima in Max che non avrebbe bisogno di tanta esaltazione per il suo ego, ma che in Red Bull ci ha messo poco a diventare padrone assoluto costringendo Ricciardo a cambiare aria, sbriciolando un paio di altri compagni di squadra e facendo capire a Perez che la vita in un top team non è foderata di velluto.

 

Il ragazzino è cresciuto, oggi sbaglia molto meno di un tempo. A 23 anni ha già corso 121 Gran premi (con 11 vittorie) e costruito una solidità di rendimento impressionante. In Bahrain ha sbagliato, a Imola in qualifica pure, ma poi si è rifatto con una spallata alla prima curva che ha mandato il confusione sir Lewis. Ha la faccia tosta per diventare un candidato serio al titolo. Anche nella vita privata come dimostra la sua love story con Kelly Piquet che ha avuto un figlio da Kvyat, ma poi ha mollato il russo di Roma per Max. Dopo avergli soffiato il posto in Red Bull, gli ha soffiato pure la fidanzata… Diciamo che non diventerà mai il miglior amico di Kvyat. La simpatia non è una sua caratteristica, quella l’ha ereditata da papà che era una presenza ingombrante (troppo per la Ferrari) ma che oggi si limita molto, cercando di non interferire più di tanto.

 

Max è un baby che in sette anni ha fatto cambiare regole e calendario. Ha innescato la rivoluzione dei giovani dimostrando che con il talento si può vincere subito e lui lo ha fatto conquistando la prima vittoria alla prima occasione, appena salito sulla Red Bull a Barcellona 2016. L’hashtag #unleashthelion racconta il suo motto, il suo casco, la linea di moda lanciata da sua sorella. Liberate il leone. È arrivato il momento di tirare la zampata vincente. Romanticamente farebbe un favore anche ai ferraristi. Eviterebbe il sorpasso definitivo a Michael Schumacher.

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