Il Foglio sportivo
Le Final Four spiegate da Datome
“Godiamoci il momento, ho fatto bene a scegliere questa squadra”. Parla il cestista dell’Olimpia Milano, tornata nell’élite del basket
Per Ettore Messina tornare alle Final Four di Eurolega è un po’ come per noi tornare a casa. Ci andrà per l’undicesima volta e in quattro occasioni ha anche conquistato il trofeo. Ma in questa Olimpia griffata Armani il coach-presidente non è l’unico ad aver avuto certe belle frequentazioni. Christos Stavropoulos, il general manager, è arrivato sei volte alle Finali con l’Olympiacos, vincendo in due occasioni. Micov ne ha giocate due, Delaney una, il Chacho ne ha vinte due, Hines ne ha portate a casa addirittura quattro tra Olympiacos e Cska. E poi c’è Gigi Datome, che con Milano è alla quinta final four dopo le quattro giocate con il Fenerbahçe. La coppa vinta nel 2017 ce l’ha ancora sul comodino della sua camera in Sardegna. Ci ha dormito per settimane, per mesi, facendo quasi ingelosire la fidanzata. Non si porta dietro i trofei quando trasloca, ma li tiene nel cuore: “La coppa vinta con il Fener resta il ricordo più bello della mia carriera e sono davvero contento di arrivare alle finali con Milano che le inseguiva da tanto tempo. Credo proprio di essere arrivato all’Olimpia nel momento giusto, fossi venuto prima di andare in Turchia, forse non sarebbe stata la stessa cosa”.
Datome ha colto l’attimo fuggente. Ha sposato il progetto Olimpia nell’anno della svolta, quello in cui Messina ha finalmente costruito la squadra dei suoi sogni fatta di ragazzi che giocano bene insieme, ma anche che stanno bene insieme. Datome ha sempre sottolineato l’importanza di uno spogliatoio sano. “Stiamo bene insieme – dice – Quest’anno non c’è stato modo di fare molta vita in comune al di fuori della palestra. Però la cosa che mi piace è che tutti abbiamo un obiettivo comune. Non ci sono gelosie. Quando uno è più in palla gioca e il pari ruolo non fa facce strane. Sembrano scemenze, cose banali, ma sono fondamentali per costruire una squadra vincente. E poi abbiamo i giocatori giusti al posto giusto e siamo stati competitivi per tutta la stagione. Ci siamo meritati le finali”. Dopo 29 anni l’Olimpia torna a giocare per la coppa più grande. Nei 60 secondi di follia finale ha rischiato di perdere tutto. Stava dando un calcio al secchio del latte appena munto, come direbbe Boscia Tanjevic. In poco più di un minuto ha incassato un parziale di 10-0 che ha impietrito Giorgio Armani in tribuna e fatto saltare sulla sedia migliaia di tifosi davanti alla tv. “Paura di vincere” l’ha definita Ettore Messina.
“Non sono che cosa sia successo esattamente – spiega Datome – Abbiamo avuto un minuto folle, scellerato. So che dobbiamo parlarne perché non deve più succedere. Stavamo rovinando una cosa clamorosa e una sconfitta così ce la saremmo portata dietro per tutta la vita… Però vi assicuro ci vorrà meno ad aggiustare quel minuto di quanto non ci sia voluto a costruire quello che abbiamo fatto nei 39 minuti prima”. Milano ritrova una finale dopo 29 anni, l’Italia dopo 11. Gigi Datome ha frequentato le Final Four quattro volte con il Fener. Sa come approcciarle: “Penso che per come siamo noi dobbiamo andare lì felici dell’opportunità che abbiamo e goderci un palcoscenico del genere. Questo non vuol dire andare lì in vacanza, ma con una grande libertà mentale di divertirci e di fare tutto quello che possiamo per vincere due partite. Perché poi di questo si tratta: vincere due partite. La cosa brutta è tornarsene a casa con dei rimorsi. Sbagliare un tiro può capitare, ma quello che dovremo evitare sono gli errori stupidi. Ogni possesso può essere decisivo e dovremo cercare di tornare a casa senza avere rimpianti. Dobbiamo fare come abbiamo fatto finora in una stagione strana, equilibrata e con tre partite dei playoff arrivate a gara cinque. Noi ce la siamo giocata con tutti sempre… è vero che con il Barcellona abbiamo perso tutte e due le volte, che loro sono la squadra più forte adesso, ma le Final Four sono bellissime e crudeli. Con il Fener un anno avevamo fatto la stagione perfetta, poi arrivati lì ci è capitata la partita storta. Con una partita secca può succedere di tutto. E noi faremo di tutto per approfittarne”.
Da quando è tornato in Italia Gigione si è già portato a casa due trofei, una Supercoppa italiana e la Coppa Italia. “Come risultati sta andando anche meglio del previsto. Arrivare alle Final Four è una grande cosa, era da anni l’obbiettivo del signor Armani e della società. È inutile ripeterlo, senza Armani non ci sarebbe tutto questo ed è bello vedere con che passione ci segue. Io quest’anno avevo l’obiettivo di andare ai playoff, invece siamo alle Final Four dove mancano tante grandi squadre. Non c’è il Real, non c’è il Fener, manca l’Olympiacos che era partito con grandi speranze, tante squadre forti non ci sono. Ci siamo noi e Milano torna nell’élite del basket europeo. Sono stato bravo e fortunato ad aver scelto l’anno giusto per venire. Un po’ come era capitato quando sono andato in Turchia”. Gigione è uno che sa scegliere l’attimo. Come per un tiro, un’entrata. Ha aspettato che attorno a Messina crescesse qualcosa di grande e ora è qui a dare il suo contributo. Il grande rimpianto è quello di non aver ancora sentito il calore del Forum, il calore di Milano. Sarebbero state notti magiche, indimenticabili per i 12 mila che negli anni scorsi si vestivano di rosso e con la nebbia o con il sole arrivavano ad Assago con l’Olimpia nel cuore. In tempi normali si starebbe già preparando l’esodo verso Colonia. È anche per questo che il messaggio più forte lanciato da Ettore Messina dopo una notte insonne, passata a rivedere quella partita folle e a rispondere ai messaggi è uno solo: “Dobbiamo arrivare stabilmente ai playoff. Anche l’anno prossimo, anche l’anno dopo”. Milano non è stata costruita per regnare un anno solo, ma per lasciare davvero il segno nel basket europeo. È incredibile, ma da quando Armani l’ha salvata, l’Olimpia è solo la prima volta che va a giocarsi la coppa che i bassotti di Dan Peterson e Franco Casalini aveva portato a casa due anni di fila dopo quella prima, straordinaria, vittoria firmata Cesare Rubini e Bill Bradley. La strada è stata più lunga e difficile del previsto. Ma adesso è diventata una Autobahn.
P.S. Chi sostiene che la Superlega avrebbe ucciso lo sport si riveda gli ultimi 60 secondi di Olimpia-Bayern. Difficile trovare qualcosa di simile girando il mondo. D’accordo il basket non è il calcio. Ma forse non sono le formule a uccidere lo sport, ma solo certi dirigenti.