Il Foglio sportivo
Viva il popolo dell'Inter assembrato e sbevazzato
Spiace per gli indignados stile Paolo Giordano, l’imperatore Antonio Conte ha dato il segnale, noi ce la godiamo
Finita la fiesta? Passata la sbronza? Ma che volete finire, ma che volete sapere… E’ una settimana ormai (il conteggio si fa dalla fatal Crotone) che siamo qui tutti assembrati, sudati e sbevazzati: noi popolo bauscia, band of brothers di “I’M scudetto”, come si dice adesso che siamo diventati internazionali (viva Steven Zhang, e fanculo alla Superlega). Il segnale del resto l’ha dato l’imperatore Antonio in persona, inaugurando un mese di ludi circensi: “Godiamoci lo scudetto. Vogliamo goderci questo momento e io me lo voglio godere fino alla fine del campionato. Nessuno potrà rubarci questa gioia”.
Infatti pronti via, abbiamo incominciato in piazza Duomo e non abbiamo intenzione di finire. Anche se la prefettura s’è fatta guardinga e ha tirato fuori una proposta sparagnina per la festa bis di Inter-Samp: tremila tifosi al massimo, in un’area di 15 mila metri quadrati. L’ora d’aria in galera. Mica penseranno di fermarci così. Perché nel frattempo hanno sbroccato anche alla Pinetina. Alla ripresa degli allenamenti, c’era il Presidentissimo del Celeste Impero in mezzo al prato che agitava un bottiglione di prosecco come a un matrimonio di periferia, mentre Conte saltava indemoniato e i ragazzi si abbracciavano, senza mascherina, come se non ci fosse un domani. Perché dopo undici anni dal Triplete (bentornato immenso Mou, solo gli imbecilli possono pensare che il tuo arrivo alla Roma possa incrinare la gioia) la festa dell’Inter è diventata una fiesta mobile, un longform, una lotta di lunga durata: staremo sempre lì, assembrati e col boccione di prosecco in mano.
E tanti saluti a quel noiosone di Paolo Giordano che da un anno e mezzo – non si sa a che titolo, forse di virologo letterario – fa la ramanzina sul Corriere a chi non ha ancora capito il Covid, ma anche a tutti gli altri: i profeti di sventura sparano nel mucchio, e scassano i cabasisi. Se l’è presa con noi che stavamo belli assembrati in Duomo, grazie alla benevolenza distratta del fratello bauscia Beppe Sala (ma c’era anche la sorella bauscia e leghista Sardone, intanto che quel milanista di Salvini si indignava: la pandemia una forma di tifoseria). Insomma Giordano, con l’aria di quello “siamo tutti molto stanchi della sequenza allentamenti-folla-indignazione”, scassava l’anima con la solita tiritera “allentamenti-folla-indignazione”. Scrive: “Riempire piazza Duomo nel corso di un’epidemia tutt’altro che finita è andare a duecento all’ora in autostrada”, e non si può mettere “sullo stesso livello il diritto alla salute e al lavoro, con il diritto all’esultanza”.
Maddai, che pensiero profondo (del resto è uno scrittore). Ma applicando la sua logica alla vita reale, di cui fa parte anche l’eventualità di vincere lo scudetto, per vietare ai tifosi di festeggiare in piazza si dovrebbe essere in Cina. E non lo siamo. Che poi, vi ricordate la Coppa Italia a Napoli un anno fa, e ancora peggio la folla di quando morì Maradona? Tutti gli indignados stile Paolo Giordano gridavano dai balconi che ci sarebbero stati morti a frotte, manco un’eruzione del Vesuvio. Bene: picchi di nuovi contagi zero, non è successo un cazzo. Sarà che lì c’era san Diego a vegliare, ma qui nella Milano che conta abbiamo in eterno san Peppino Prisco. Comunque, nel caso, lasceremo ad altri stabilire se a far ripartire l’eventuale contagio saranno stati gli interisti di piazza Duomo, o i tutti quei milanisti tristi seduti ai tavolini dei Navigli, a bere per dimenticare.