Il Foglio Sportivo
Fine dei giochi, resta la crisi: il calcio ora deve fare sul serio
Archiviata la parentesi Superlega, i conti dei club non tornano e impongono un ripensamento del sistema: “Nuovi stadi per ripianare i debiti”, è l’appello dei vertici Coni e Figc
Questione di bolle. Ci sono quelle improvvise, spettacolari come la Superlega – “un maldestro progetto che ci ha assalito”, parola di Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio – che scoppiano ancora sul nascere per un soffio di vento inglese. E poi quelle più grandi ma sfuggenti nel tempo, fino a quando un evento meno pronosticabile del Leicester campione – dannata pandemia – non lascia il calcio in mutande. Ricavi, monte ingaggi, calciomercato: ai numeri da capogiro non corrisponde ricchezza. La crisi chiede il conto al sistema e giovedì le istituzioni italiane del pallone, alla tavola rotonda online “L’industria del calcio nel post Covid” organizzata da Formiche.net, hanno ragionato sulle possibili vie d’uscita.
“I dati sono chiari e insostenibili”, inizia il numero uno del Coni Giovanni Malagò: un deficit aggregato da 1,67 miliardi già nel quinquennio pre-Covid, +67 per cento di debito negli ultimi dieci anni, un tasso di crescita dei salari dieci volte più rapido di tutti gli altri settori in Italia e che occupa circa la metà dei bilanci societari. “La dovuta premessa è che l’anno scorso il calcio è stato fenomenale a rimettere in moto la macchina. Ma c’è un drammatico problema strutturale. Quel che succede nel mondo del pallone in altre aziende non potrebbe essere sopportato. Servono soluzioni urgenti. A partire dalla questione stadi: in Italia gli impianti di proprietà e di ultima generazione quasi non esistono. Eppure solo ospitando un grande evento – Europeo, Mondiale, Olimpiade – si può dare un input di rinnovo al sistema. Altrimenti come si chiudono i bilanci?”
Le plusvalenze fittizie non salvano più le apparenze. Ben oltre la Serie A: si pensi ai 2,7 miliardi di indebitamento al giugno 2020 – fonte Kpmg– dei 12 top club firmatari della Superlega. “La solidità patrimoniale è tutto”, interviene Andrea Abodi, ex presidente della Lega B e oggi a capo dell’Istituto per il credito sportivo: “Siamo una banca con la sobrietà del soggetto di natura pubblica, ma che negli anni per far competere i club si è finanziata sempre di più”. Al centro, sempre gli stadi. “Abbiamo un triplice ruolo: indicare una metodologia di investimento, incentivare uno sviluppo infrastrutturale reale, avere una relazione cooperativa con le amministrazioni locali. Oggi stiamo lavorando per un nuovo impianto con sei città di Serie A: a Bologna, Cagliari e Genova la situazione è già molto avanzata. Ma intanto bisogna continuare a cambiare mentalità: troppo spesso si scivola nei progetti di facciata, a fronte di un intervento sul territorio così impattante a livello sportivo e sociale”.
È la doppia funzione del calcio, rimarcata anche da Gravina: “La vera sfida che ci attende è dare contenuto al concetto di sostenibilità”, l’appello del presidente della Figc. “Oltre ai ricavi va considerata la politica dei costi. Al prossimo Consiglio federale – 17 maggio – molte realtà di Serie A continueranno a lamentare un disavanzo importante. Noi abbiamo già cercato di sistemare i bilanci societari, ma il tribunale ordinario ci ha fermato. Le armi sono spuntate. Eppure una soluzione c’è: ho già chiesto ai club di ridurre il costo del lavoro sotto il 50 per cento. Non con il tanto discusso salary cap, ma imponendo tetti di spesa complessiva. Che possono essere sforati solo garantendo risorse vere: quindi attraverso i mercati finanziari reali e non in base a fantasiose ingegnerie speculative”, vade retro Superlega. “I due asset fondamentali per crescere restano i settori giovanili e le infrastrutture: questa è la logica di sistema che deve contraddistinguere il futuro del calcio italiano”.