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Quando fiorì la maglia rosa al Giro d'Italia

Giovanni Battistuzzi

Il 10 maggio 1931 Learco Guerra vestì la prima maglia rosa della storia della corsa a tappe, dopo oltre vent'anni dalla prima edizione. Perché proprio allora si decise di introdurre questo simbolo per contraddistinguere il primo della classifica generale?

Per oltre vent’anni il Giro d’Italia non ritenne necessario identificare in alcun modo il corridore che guidava la classifica generale. Non c’era nel 1909, anno della prima edizione. Non c’era nel 1920, l’anno successivo all’introduzione della maglia gialla al Tour de France. Che serve dare un segno di riconoscimento al migliore?, aveva risposto più volte il patron della corsa Armando Cougnet a chi gli chiedeva perché non introdurre anche al Giro un simbolo per il primo simile a quello introdotto in Francia. Il Giro d’Italia basta a sé stesso, il ciclismo non è vanesio è fatica e passione. Cougnet lo aveva più volte ribadito al direttore della Gazzetta dello sport, il quotidiano che organizzava il Giro d’Italia, che ben vedeva l’idea di creare una maglia celebrativa del primato in classifica con i colori del giornale. Il patron della corsa però aveva sempre risposto picche. Nelle sue orecchie risuonavano ancora le parole che gli aveva detto Tullo Morgagni, l’uomo che assieme a lui e a Eugenio Camillo Costamagna s’era inventato il Giro, pochi giorni prima di morire in un incidente aereo (il 2 agosto 1919) a proposito della scelta del Tour de France di istituire la maglia gialla: una sciocchezza che renderà il ciclismo uno sport di primedonne.

 

Il 10 maggio del 1931, novant’anni fa oggi, tutto però cambiò completamente. L’idea di una maglia che rendesse subito visibile al pubblico il capoclassifica smise di essere una sciocchezza e divenne realtà. A Mantova, al termine della prima tappa di quell’edizione del Giro d’Italia questa maglia venne data a Learco Guerra, vincitore della frazione inaugurale. Una maglia rosa, la prima della storia della corsa. Una maglia rosa che cambiò per sempre il colore dei sogni per generazioni di ciclisti. “Si istituisce, a somiglianza di ciò che avviene nel Giro di Francia, la maglia rosa, che tappa per tappa del Giro d’Italia sarà indossata dal corridore primo in classifica”, scrisse la Gazzetta alla vigilia del via della corsa.

 

Delle motivazioni che spinsero Cougnet a decidere di introdurre quel simbolo del primato ce ne sono molte. C’è chi sostiene che furono le insistenze del direttore della Gazzetta Emilio Colombo a farlo cedere. C’è chi invece evidenzia che fu Vittorio Spositi, all’epoca segretario dell’Uvi (Unione velocipedistica italiana) a convincere dell’utilità di un vessillo che rendesse riconoscibile il miglior corridore del Giro. C’è chi invece, come sottolineò anni dopo l’ex direttore della Gazzetta Edgardo Longoni che fu “il suo silente antifascismo a fargli decidere di istituire la maglia rosa per far spregio al Duce” che l’anno precedente, tramite il ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai, aveva provato a far cambiare il colore delle maglie alla squadra calcistica del Palermo perché “di un indecoroso e antivirile rosa” (ci riuscì nel 1936 a far cambiare maglia al Palermo). Rosa come il colore delle pagine della Gazzetta e 10 maggio 1931 del vessillo del miglior corridore del Giro d’Italia.

 

Il motivo reale della scelta di Cougnet non è mai stato accertato. Quello che però è rimasto è quella maglia che ancora ora viene indossata dal leader della classifica generale.

 

Da Learco Guerra a Filippo Ganna quasi tutti i più forti corridori della storia del ciclismo l’hanno indossata almeno un giorno. La storia della maglia rosa, come sostenne Sergio Zavoli, “è anche la storia d’un pezzetto per niente piccolo dell’Italia”, perché “è un simbolo che ha unito a suo modo l’Italia al di là di qualsiasi divisione, culturale, politica e territoriale”.

 

La più grande collezione al mondo di maglie rosa è ospitata al Museo del Ghisallo che pochi giorni fa, il 4 maggio, che l’ha esposta nella “Museo del Ghisallo Pink Room” in collaborazione con Faema. Ha fatto però di più, ha fatto in modo che questa collezione potesse entrare nelle case di tutte grazie a una mostra virtuale interattiva, realizzata in collaborazione con l’ACdB Museo di Alessandria e la Gazzetta dello Sport.

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