Giro d'Italia. Il brivido di Gino Mäder, il brigante

Giovanni Battistuzzi

Lo svizzero vince a San Giacomo la sesta tappa del Giro che si stava trasformando in un déjà-vu. Attila Valter è la nuova maglia rosa. Un automobilista ha investito Serry. Non dovrebbe essere il primo pensiero dell’Uci la sicurezza dei suoi tesserati?

Per un attimo, un solo lunghissimo attimo, Gino Mäder, guardandosi alle spalle, ha avuto un brivido di spavento, uno spiacevole déjà-vu. La sua mente è tornata al tredici marzo, alla Parigi-Nizza, quando in cima alla Colmiane, girandosi, aveva visto il procedere veloce e a suo avviso ingordo di Primoz Roglic. Quel giorno aveva visto la sua gioia svaporare in un sorpasso, gli era salito un misto tra rabbia e delusione che gli aveva indurito il viso, quasi a mutarne i connotati.

  

I fumi del passato però si sono presto diradati. Al di là della curva ha visto lo striscione d’arrivo della sesta tappa del Giro d’Italia 2021, quello posto nel paesino di San Giacomo, 938 metri sopra Ascoli Piceno, ultimo avamposto per raggiungere il Monte Piselli. Ha valutato che i metri che lo separavano dagli uomini che lo inseguivano erano sufficienti. Si è rialzato sui pedali per darsi la spinta, l’ultima, quella più sofferente, verso l’arrivo. Aveva le gambe e gli occhi svuotati, ma non contava più nulla, ce l’aveva fatta. Ce l’aveva finalmente fatta a conquistare la sua prima vittoria tra i professionisti. E per di più al Giro. Gioia pura.

 

Avesse avuto la forza per godersela appieno, si sarebbe prodigato anche lui in una di quelle belle pose da successo: braccia al cielo e faccia fiera. C'ha provato. Non gli è riuscita. La linea d’arrivo l’ha attraversata con le mani sul manubrio e testa china. Poco male, si sarà detto, alla fin fine conta il risultato e davanti a tutti ci sono finito io. E da solo. Dodici secondi avanti a Egan Bernal, Dan Martin e Remco Evenepoel, quattordici prima di Giulio Ciccone. I quattro corridori che oggi sono riusciti ad avvantaggiarsi rispetto a tutti gli altri uomini che puntano alla vittoria del Giro d’Italia.

 

Era dall’11 maggio del 2017 che uno svizzero non riusciva a conquistare una tappa al Giro. Una parentesi aperta da Silvan Dillier a Terme Luigiane, che Mäder ha chiuso oggi.

 

Era luogo di solitudine e preghiera il Massiccio dei monti Gemelli (uno è il monte Piselli, l’altro il monte Girella). Ospitava le contemplazioni degli anacoreti, le fughe dei briganti, la transumanza dei pastori. Poi c’hanno messo gli impianti di risalita, i locali per gli sciatori e tutto questo s’è un po’ perso. Il ciclismo però in qualche modo con gli anacoreti, i briganti e i pastori c’entra ancora qualcosa e oggi ha messo in scena la solitudine del ciclista in fuga dal gruppo. Una fuga andata a buon fine, alla faccia degli inseguitori, gendarmi in bicicletta.

 

Gino Mäder è un buon brigante. Corridore da avanguardia e solitudine, che ha capito presto che è nelle fughe che poteva trovare la sua dimensione d’atleta. Per avere velleità di classifica ci sarà tempo, se mai ne avrà voglia. Per come ha iniziato a correre in questi primi anni di carriera, la speranza è che non cambi idea.

 

Lo svizzero era venuto al Giro per aiutare Landa. La corsa del basco però si è interrotta ieri a quattro chilometri e mezzo dall’arrivo di Cattolica e così tutto è cambiato per la Bahrain-Victorious. Pure per Gino Mäder. Da aiutante si è trasformato in aiutato. Matej Mohorič tra la Forca di Gualdo e Ascoli piceno gli ha facilitato il compito a forza di chilometri a tutta in testa al gruppetto dei fuggitivi, e lui ha pensato bene che non c’era miglior ringraziamento per tutto questo lavoro che non farsi riprendere. Da domani ritornerà nei ranghi, si dedicherà di nuovo al bene di squadra. Che per una volta è anche quello di Damiano Caruso. Il siciliano oggi ha dimostrato una volta ancora di saper pedalare coi migliori quando non deve spremersi a chilometri e chilometri dal traguardo per la causa del capitano di turno.

 

Damiano Caruso in questi anni non si è mai lamentato di ciò. È persona intelligente il siciliano, sa quali sono i limiti e sa che spesso aveva accanto a lui qualcuno che andava più forte. Ha accettato di buon grado tutto ciò, non si è mai tirato indietro quando c’era da faticare per gli altri. A questo Giro potrà forse lavorare per sé stesso. Intanto si gode il suo settimo posto in classifica generale a 39 secondi dalla nuova maglia rosa Attila Valter.

  

Era imbarazzato l’ungherese quando gli hanno dato la notizia che avrebbe vestito il simbolo del primato. Faticava a crederci. Alessandro De Marchi si era perso tra la Forca di Gualdo e la Forca di Presta dopo aver perso la scia della Ineos tirata da Filippo Ganna; Bernal e compagnia hanno attaccato sì, ma gestendo le energie. E così Attila Valter ha potuto bersi un sorso di prosecco sul podio del Giro. Dietro la mascherina sorrideva soddisfatto.

 

Un sorriso che aveva perso Peter Serry quando a 12 chilometri dal traguardo è stato tamponato dall’ammiraglia della BikeExchange. Al belga sono state avanzate le solite scuse degli automobilisti che investono i ciclisti: scusa, non t’ho visto.

   

     

Serry si era sfilato per riconsegnare alla macchina le mantelline dei compagni. L’Uci ha deciso così qualche mese fa. In preda a una illuminazione ambientalista aveva deciso di vietare il lancio di mantelline e borracce a bordo strada. E così le retrovie del gruppo si sono addensate di gregari. Oggi uno è quasi finito sotto le ruote di un’automobile. Non dovrebbe essere il primo pensiero dell’Uci la sicurezza dei suoi tesserati? A vedere cosa sta succedendo in questi anni sembra proprio di no.

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