Giro d'Italia. Una questione di spazi e convinzioni. Ewan, Gaviria e gli altri

Giovanni Battistuzzi

Caleb Ewan vince la settima tappa del Giro d'Italia davanti a Davide Cimolai e Tim Merlier. Gaviria dilata la volata, Pellaud e Marengo la fuga

Trecentocinquanta metri possono dilatarsi quasi all’infinito quando l’arrivo è a un passo e il gruppo è più o meno compatto. Albert Einstein ha fregato i ciclisti, o meglio ha dato un nome alla fregatura dei corridori: dilatazione temporale gravitazionale. La dilatazione, almeno nel ciclismo, c’entra però poco con l’altitudine. A contare sono altre cose, prima tra tutte la scelta del tempo. In bicicletta lo si può fare, in fisica no: 1-0 per la bici.

 

Trecentocinquanta metri sono una distanza infausta. Né troppo corta, né troppo lunga, eppure a volte azzeccata. Soprattutto per sorprendere. E Fernando Gaviria è da sempre convinto di una cosa: quando sai di non essere il più forte, ha solo un’alternativa, fare qualcosa che nessuno si aspetta. L’idea matta del colombiano è stata quella di partire appunto a trecentocinquanta metri dallo striscione d’arrivo. Non follia, un calcolo veloce delle probabilità. Attorno a lui c’era poca gente e pochissimi gregari, sicuramente nessun pesce pilota. Valeva la pena provarci, sfidare tutti gli altri, seguire il proprio credo.

 

Caleb Ewan è anche lui un corridore che è da sempre convinto di una cosa: meglio non avere schemi nel ciclismo, la cosa migliore è improvvisare di volta in volta. Ha improvvisato anche oggi. E gli è andato bene. Ha sfruttato l’allungo di Gaviria, gli si è messo a ruota con ostentata semplicità, poi è ripartito. A Termoli, la linea d’arrivo della settima tappa del Giro d’Italia 2021 l’ha superata prima di tutti. Davanti a Davide Cimolai e Tim Merlier. Ewan al Giro vince solo negli anni dispari, anche perché ormai li corre solo negli anni dispari. Come nel 2019 ha fatto doppietta.

 

A Gaviria non sono bastati trecentocinquanta metri, a Ewan ne sono bastati meno di duecento. Sciocchezze rispetto ai 164 chilometri dei fuggitivi. Oltre alla dilatazione temporale gravitazionale andrebbe studiata anche la dilatazione spaziale gravitazionale. Ci sarà tempo per farlo. Fosse anche una sciocchezza.

 

Dei 1.074 chilometri che i corridori hanno pedalato sinora in questo Giro d’Italia 2021 (cronometro escluse), Simon Pellaud e Umberto Marengo ne hanno percorsi avanti al gruppo rispettivamente 411 e 388, il 38,3 e il 36,1 per cento del totale. Abitudinari dell’avventura. Con loro oggi c’era l’inglese Mark Christian, alla prima fuga di una certa gittata centrata a questo Giro anche per lui dopo il tentativo di 12 chilometri di ieri. Quinto uomo della Eolo-Kometa a far vita di avanguardia. Nessuna squadra ha fatto meglio della squadra di Basso e Contador.

   

     

A Pellaud pedalare avanti al gruppo non gli pesa, lo apprezza. Un modo come un altro per non annoiarsi in gruppo, per dare un senso alla sua giornata a pedali. È persona pratica lo svizzero: “Io non sono un campione, difficilmente vincerò molte gare in vita mia, ma non è questo a spaventarmi. A me spaventa l’idea di essere anonimo, di restare fermo, di non fare nulla ed aspettare lo scorrere del tempo e con questo la fine della carriera. Per questo esco dal gruppo, mi faccio vedere, mi sento vivo. Magari vincerò una sola gara o forse neanche quella, ma esserci non sarà stato inutile”, aveva detto a marzo a Stefano Zago per Alvento.

 

Marengo il gusto per la fuga l’ha scoperto quando ha capito che il suo essere veloce non era abbastanza tra i professionisti. Si è adeguato bene alla sua nuova dimensione. Quest’anno ha deciso di concedersi tutto il tempo che aveva perso.

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