Il Foglio sportivo
“Non mi manca l'Nba, sono felice qui”. Parla Marco Belinelli
La Virtus e i playoff di basket. La seconda vita di Beli a Bologna, che dopo tredici anni in America è tornato a casa: “La squadra punta in alto, come me”
Se non è l’uomo più felice del mondo poco ci manca. Marco Belinelli è tornato a frequentare i playoff italiani con il sorriso sulle labbra e gli occhi che ridono. Lasciare l’America e l’Nba gli ha fatto bene. Dopo 13 anni tra gli dei del basket uno si immagina un po’ di nostalgia… Invece il Beli ti gela subito. “Che cosa mi è mancato dell’Nba? Niente – dice al Foglio Sportivo – Se devo essere sincero proprio niente. Non ho visto neppure una partita in tv. Sono contento al mille per mille della mia scelta e quando vado ad allenarmi lo faccio con il sorriso”. Marco è innamorato del basket, di Martina, ma anche della vita. Tornare in Europa, in Italia, a Bologna ha aumentato la qualità della sua esistenza. “Dopo 13 anni avevo voglia di tornare a casa e di mettermi in gioco in un campionato diverso dall’Nba. In America si giocava molto, si volava tantissimo, eravamo sempre in viaggio. Qui ho la fortuna di poter passare molto più tempo con mia moglie, di essere più vicino alla mia famiglia e ai miei amici che per me sono sempre stati molto importanti”. Il sapore di casa, dei tortellini della mamma, di quel salame ungherese che gli metteva nel panino da bambino.
Dall’America ha portato denari, trofei e tanti ricordi che non se ne andranno mai. “L’anello Nba è nascosto. Come il trofeo che ho vinto nella gara da tre punti…”. Non si sa mai. Meglio tenerli in banca. I ricordi vanno protetti. In esposizione ci possono sempre stare le fotografie. Quella alla Casa Bianca quando Obama gli disse: “Torna a Chicago, manchi ai miei Bulls”. O quella con Papa Francesco e la sua Martina. “Quando le guardo mi viene ancora la pelle d’oca a pensare dove sono arrivato. Sono state emozioni uniche. Sono fiero e orgoglioso di aver raggiunto certi traguardi, per me, le persone che mi vogliono bene, ma anche per tutta l’Italia. Se penso che ci sono arrivato grazie al mio lavoro, alla volontà… perché solo con il talento non ce l’avrei fatta. Il talento è una qualità molto importante, ma va allenato e va cresciuto giorno dopo giorno. Il talento ti può portare fino a un certo punto, però poi è la volontà, il lavoro, la disponibilità al sacrificio che ti porta ad avere i risultati”. È quello che insegna ai ragazzi quando parla nelle scuole, una volta in presenza, ora da un computer: “Quando incontro i ragazzi cerco di incoraggiarli a credere nei loro sogni. Con l’allenamento, la volontà possono farcela. È importante avere rispetto delle persone che li circondano, di sé stessi e dello sport che praticano. E poi raccomando la buona alimentazione e le buone compagnie. Perché gli amici giusti ti aiutano. A me sono serviti tantissimo quando nei primi anni in Nba giocavo poco. Mi hanno aiutato a non mollare. È vero che io fin da bambino quando mi chiedevano che cosa avrei fatto da grande rispondevo il giocatore di basket nell’Nba, ma poi là devi arrivarci e io ce l’ho fatta perché l’ho voluto con tutte le mie forze”.
Tredici anni dopo ha ritrovato un campionato italiano svuotato dal Covid, i palazzetti che sono più o meno gli stessi dei suoi tempi e una passione che non finisce. Quello che è cambiato, almeno in questi playoff del torneo numero 99 è il calendario, con due partite in 24 ore che in Italia non si erano mai viste. Qualcosa che per chi viene dall’Nba non è certo un problema. “Penso che sia un bel campionato. Bello e particolare. Ci sono squadre che sulla carta sono più forti come Milano, Venezia, Sassari, Brindisi, noi, ma è un campionato così equilibrato che non bisogna mai dare nulla per scontato. Non si può sottovalutare nessun avversario, altrimenti finisce come a noi all’ultima della stagione regolare che abbiamo perso con Trento. Bisogna avere rispetto di ogni avversario. Sono contento di giocarci e di farlo con la Virtus una squadra che giustamente ha delle ambizioni. Sono tornato per questo. Perché il progetto punta in alto, perché possiamo sognare di vincere il campionato. Vogliamo centrare l’obbiettivo per noi, la società e la città di Bologna, sperando di poter presto riavere i nostri tifosi”.
A riportarlo a Bologna ci sono state tante cose. E uno stimolo “Avevo voglia di tornare a essere un leader. Una cosa che mi mette pressione, ma ne avevo bisogno. C’è una società che vuole crescere e vincere. Avevo bisogno di sentirmi così. Di poter dare il contributo della mia esperienza in spogliatoio, in campo, ma anche in società perché in America ne ho viste davvero tante e qualcosa avrò pure imparato da organizzazioni perfette come quella di San Antonio. Non sono una persona che parla tantissimo, ma amo questo sport e credo di esser capace di trasmettere la mia passione. Ho un ottimo rapporto con il presidente Zanetti, con Baraldi, con Paolo Ronci e cerco di dare il mio contributo anche dal punto di vista organizzativo e vedo che possiamo crescere e raggiungere traguardi importanti”.
La stagione non è stata tutta in discesa, la Virtus targata Segafredo, un marchio che ha scritto la storia dello sport dal ciclismo alla Formula 1, ha avuto qualche intoppo pure con la cacciata e la riassunzione del tecnico in meno di 48 ore. La campagna europea non è finita come sperato, ma l’inseguimento all’Europa League continuerà e all’orizzonte potrebbe esserci un invito fin dalla prossima stagione. “Uno scudetto io l’ho già vinto, ma sono qui per riprovarci. E poi resta il sogno dell’Olimpiade”. La maglia azzurra per ora è nascosta come l’anello da campione Nba. Il Beli ci penserà a fine campionato. Intanto sta inseguendo un altro sogno, quello di un baby Belinelli. “Speriamo presto. La famiglia è una cosa importante sia per me che per mia moglie. Non vediamo l’ora di allargarla”. Ci stanno lavorando, se così si può dire. Anche la storia d’amore del Beli è una piccola favola. Martina è la sua prima fidanzatina da ragazzino quindicenne pieno di sogni. Si sono amati e lasciati e poi si sono ritrovati arrivando al matrimonio lo scorso 26 settembre. “Vivevamo già insieme a San Antonio da un paio d’anni e quindi non è cambiato molto nella nostra vita, ma essere sposati è davvero bellissimo, siamo una coppia che si aiuta a vicenda e lei ha davvero una grande pazienza con me”. La signora Belinelli è una ragazza semplice, poco social, molto concreta. “La amo anche per questo. I social sono utili per chi fa il mio lavoro, li uso, ma non ne abuso”. Il Beli è geloso del suo privato. Ma quando come è capitato, il suo paese scende in piazza per lui, allora si lascia travolgere dall’affetto. Marco Belinelli da San Giovanni in Persiceto. Di strada ne ha fatta. E non è ancora finita.
“Che cosa farò quando avrò smesso di giocare non l’ho ancora deciso. Mi piacerebbe restare nel basket perché ho un amore folle per la pallacanestro e non credo mi stuferò. Allenatore o dirigente non so. Con Martina non abbiamo ancora scelto neppure se stare a Bologna o a Miami che ci piace molto, magari faremo un po’ qui e un po’ là… Ogni tanto ci penso, ma in questo momento non ho deciso davvero. Per ora ho ancora tanta voglia di giocare”. E di segnare qualcuno dei suoi tiri ignoranti.
È uscito “La storia del basket in 50 ritratti” (Centauria), firmato dal Coach Dan Peterson e Umberto Zapelloni, con le illustrazioni di Fer Taboada. Un viaggio che parte nel 1891 e arriva fino ai giorni nostri, attraversando le 215 nazioni in cui si cerca di andare a canestro. Tra i 50, anche Belinelli.