Addio a Tarcisio Burgnich
È morto a 82 anni il difensore della Grande Inter di Helenio Herrera. Sarti-Burgnich-Facchetti, era suo il secondo nome di quella filastrocca che ha fatto da colonna sonora agli anni Sessanta. Un terzino all'antica, marcatore implacabile
E par di vederlo, Tarcisio Burgnich, uscire dal campo tra lo sferragliare della chincaglieria, come certi vecchi guerrieri che escono di scena portando con sè l’orda di tutte le battaglie. Ha stretto la mano a qualche avversario, si è asciugato il sudore dalla fronte, ha dato un’occhiata agli spalti o forse al cielo e no, non ha scambiato la maglia con nessuno, in quel tempo antico non si usava. Se n’è andato Tarcisio Burgnich, aveva 82 anni. E’ stato uno dei più grandi terzini del nostro calcio. Sarti-Burgnich-Facchetti, era suo il secondo nome di quella filastrocca che ha fatto da colonna sonora agli anni Sessanta, stagioni segnate dai trionfi dell’Inter di Helenio Herrera, quando l’Italia uscita dal dopoguerra aveva già cominciato a correre verso una rivoluzione che l'avrebbe cambiata per sempre.
Tarcisio Burgnich era un friulano di Ruda, dov’era nato, il 24 aprile del 1939. Aveva cominciato nell’Udinese, giocando due campionati in A, nel 1960 era passato alla Juventus dove - da comprimario - aveva messo in bacheca uno scudetto. Il trasferimento a Palermo era stato il piedistallo della sua definitiva affermazione. A chiamarlo "Roccia" era stato il compagno di squadra Armando Picchi, leader di quell’Inter dove Tarcisio era arrivato nel 1962, a 23 anni, per restarvi fino al 1974 e vincere tutto: 4 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali. Fin dall'inizio - per la serietà che lo distingueva e per l'impacciato pudore della posa - era sembrato un vecchio ragazzo, uno cresciuto troppo in fretta, uno che a vent’anni ne dimostrava il doppio. Nella sua carriera ha giocato anche da libero - in chiusura a Napoli (1974-1977) - ma il Burgnich che verrà ricordato in eterno è il terzino, l’implacabile marcatore, il difensore che se ne sta appiccicato all’avversario dall'inizio alla fine della partita. Duro, ma non cattivo. Arcigno, coriaceo, la mascella volitiva, il "fiero cipiglio", come direbbe il suo amico Bruno Pizzul.
Con la maglia della Nazionale - dal 1963 al 1974 - ha giocato 66 partite, in bacheca c’è l’Europeo del 1968, l'unico vinto nella storia dell’Italia. Due soli i gol, non era quello il suo mestiere. Uno - quello della vittoria - in amichevole a Milano, contro l’Austria nel 1966; l'altro - ben più celebre - nella semifinale del Mondiale 1970, quell’Italia-Germania 4-3: Tarcisio riportò gli azzurri in partita, pareggiando il gol di Muller all'inizio del secondo tempo supplementare e fissando momentaneamente il risultato sul 2-2. Cosa ci facesse in area di rigore della Germania non ha mai saputo dirlo neppure lui. Da allenatore Burgnich ha avuto una second-life più che dignitosa, ha allenato dal 1978 al 2001, soprattutto in provincia, guidando tra gli altri due club storici come Bologna e Genoa, e cogliendo a Como - allenato in tre periodi diversi - le sue maggiori soddisfazioni.
Era un uomo onesto, un calciatore duro ma leale, un "furlan" tutto d'un pezzo, negli anni di un'Italia che faceva della sobrietà la sua cifra esistenziale. C'è un aneddoto che racconta bene chi è stato Tarcisio Burgnich. Alla vigilia dei Mondiali del 1970 Burgnich firmò un contratto con l’Atala: 500 mila lire per indossare le scarpe con il marchio dell’azienda. In Messico però un dirigente dell’Adidas raggiunse un accordo con gli azzurri. Oltre un milione di lire per ogni partita che avrebbero giocato calzando le scarpe Adidas. Anche i suoi compagni avevano firmato per altri marchi, ma accettarono tutti. L'offerta dell'Adidas era irrinunciabile, ballavano troppi soldi per dire di no. Burgnich - nonostante le pressioni di colleghi e dirigenti - spiegò ai compagni che lui avrebbe giocato con le scarpe dell’Atala: aveva dato la parola, non si sarebbe tirato indietro.
Il Foglio sportivo